Corriere della Sera - Io Donna
L’arte contemporanea sa parlarci quanto quella del passato?
Due settimane fa, per l’inserto speciale Biennale di arte contemporanea per la Lettura, ho scritto del Padiglione Vaticano. L’opera più visibile e sicuramente impattante è quella di Maurizio Cattelan: due piedi nudi collocati sull’intera facciata della Cappella interna del Convento delle Convertite, oggi sede della Casa di detenzione femminile della Giudecca, l’area della proposta voluta dalla Santa Sede. Mi ha detto Cattelan, come ho riportato nel mio articolo: «È un’immagine in bianco e nero della pianta dei piedi di un uomo. Può ricordare un’iconografia rinascimentale come quella del Cristo Morto di Mantegna, o la crocifissione dipinta da Caravaggio». Il web oggi ci permette di viaggiare senza muoverci e così mi sono immediatamente rivisto il Mantegna di Brera e anche La Crocifissione di San Pietro di Caravaggio a santa Maria del Popolo nella mia Roma (chiusa fino a novembre per restauri nel soffitto e nelle lunette).
È assolutamente così. L’opera di Cattelan non sarebbe comprensibile senza Mantegna e senza Caravaggio. Soprattutto non avrebbe un senso né formale né “significante”. Il Cristo morto di Mantegna, nella nudità e nel disperato colore della sua morte, è un assoluto archetipo formale che resiste ai secoli: è il figlio di Dio senza vita, e quei piedi bucati dai chiodi lo certificano. Anche i piedi trafitti di Pietro raccontano un martirio per Fede. Altro modello insuperato. Per questo quando ho un momento libero mi regalo un’incursione a Palazzo Barberini, al Museo Borghese, o nelle tante chiese romane che custodiscono capolavori (il crocifisso di Guido Reni a San Lorenzo in Lucina vale meditazioni anche per i più laici, e poi segnalo il magnifico e recente restauro dell’estasi di santa Teresa d ’Avila del Bernini nella Cappella Cornaro di Santa Maria della Vittoria in via XX settembre). Per non parlare delle soste, tra un appuntamento e l’altro in ciclomotore, davanti agli scavi dei Fori o nella piazza del Campidoglio disegnata da Michelangelo. Ogni volta sono scoperte, illuminazioni, radici ritrovate. La grande arte del passato ci parla dell’oggi.
Sempre. Che fortuna saperlo, e capirlo.
Nella coda del viaggio in macchina più frequente nella mia vita, da casa a Casa, da Roma a Marina di Gioiosa Ionica, in Calabria, c’è sempre un pezzo di arte contemporanea. All’altezza del chilometro 680 dei 700 previsti, affacciato sulla strada di grande comunicazione che collega il Tirreno allo Ionio, sorge a Mammola il Parco Musaba, la creatura dei coniugi Nik Spatari e Hiske Maas. Su Spatari, che da bambino ho incontrato qualche volta, giravano tantissime di quelle che credevo leggende di paese: che fosse diventato sordo a meno di dieci anni, che sempre a meno di dieci anni si fosse fatto conoscere come bambino prodigio anche a livello internazionale, che da ragazzo avesse frequentato lo studio di Le Corbusier, che da adulto fosse diventato amico di Pablo Picasso. Negli anni ho scoperto che ciascuna di queste cose, che mi sembravano impossibili perché mi sembrava impossibile incrociare con le buste della spesa uno che avesse conosciuto Picasso, erano vere. E l’odierno successo internazionale del Musaba, raggiunto da visitatori da tutto il globo, lo testimonia, anno dopo anno.
La magia dell’arte contemporanea sta qui: non nel sostantivo, arte; ma nell’aggettivo, contemporanea. Che dà a ciascuno dei visitatori di un museo, di un parco, a quanti guardano un’opera, la consapevolezza di essere della stessa epoca di chi li ha realizzati, in rari casi anche di conoscerli personalmente. Ed è magia, perché al contrario di quanto non possa capitare per la Gioconda, ti regala la suggestione che quella cosa avresti potuto realizzarla persino tu, che magari non sai tenere dritta una matita.
Oltre a storicizzare il presente e a offrircene chiavi di lettura diverse da chi racconta la cronaca o scrive la storia, l’arte contemporanea ha il pregio di regalare rilassatezza. Girovagare, per esempio, per i corridoi del Moma a New York, della Tate Modern a Londra, del Maxxi a Roma o della Triennale a Milano, rilassa. Anzi, a proposito di quello che è o non è imperdibile: sull’arte contemporanea decide il contemporaneo, non lo storico dell’arte. E il bello è che il contemporaneo sei proprio tu.