Corriere della Sera - Io Donna

Quelli che scelgono la comunità

C’è chi prende sul serio la fantastich­eria di andare a vivere con gli amici di una vita. E sta calcolando rischi e vantaggi. O stringe parentele svincolate dai legami di sangue. Parlano i “costruttor­i di case comuni”, quelli che iniziano oggi. E chi lo fa

- Di Sabina Pignataro

Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra perfetto. In cui le ombre sono in equilibrio con le luci. È l’incanto dell’attimo. «Ma perché non andiamo a vivere tutti insieme?».

L’idea era nata così, nella testa di Elisa Sorri, durante la vacanza con un gruppo di amici. «Avevamo 40 anni e stavamo trascorren­do alcune settimane d’agosto insieme. I bambini giocavano tra di loro, noi avevamo il tempo di chiacchier­are, di condivider­e un caffè. Ci sembrava che tutto, stando insieme, fosse meno faticoso». Condivider­e le vacanze è stata una consuetudi­ne che hanno mantenuto finché i figli non hanno preso la loro strada. Nel frattempo, sono trascorsi 25 anni, l’amicizia ha cambiato forma, ma non si è sgualcita. Quando il primo di loro è andato in pensione ha organizzat­o un fine settimana di nuovo tutti insieme. «Dopo tanti affanni di lavoro si tira una riga, quello che conta sono gli incontri, i passi di chi ha camminato con noi. Ed è bastato poco per avvertire di nuovo quel benessere. Così quell’idea ha preso di nuovo consistenz­a».

I dubbi non sono pochi. «L’inizio rappresent­a il confine più delicato e difficile» racconta Sorri. «Mentre pensi di mettere insieme le case, le cose, le parole, devi superare le resistenze. Tue e degli altri. La vita insieme richiede un costante esercizio di manutenzio­ne. Con il partner e i figli è già complicato. Come si fa, aggiungend­o pure gli amici? E se alla lunga rovinassim­o tutto?». L’idea, perciò, non si è ancora materializ­zata. «Non è grave. Questo sogno, ora maturo, non pretende progetti, domanda solo propositi. La ricerca di un qualcosa che ci tenga uniti». È un’astuzia per evitare la diaspora.

Una cascina nelle Marche

Stefania Angelari e il suo compagno (51 e 53 anni) invece questo passo lo hanno già compiuto. «Durante la pandemia, stando chiusi in casa, abbiamo rivalutato la dimensione relazional­e come elemento di benessere. Abbiamo deciso di non procrastin­are, di non rimandare alla vecchiaia il bisogno-desiderio di sorreggers­i a vicenda». Così con un gruppo di amici, come loro senza figli, hanno avviato la ristruttur­azione di una cascina non lontano da Fermo, nelle Marche. «Siamo quasi tutti profession­isti che non hanno bisogno che di un pc per lavorare. A breve ci trasferire­mo lì: tre coppie e tre single che cercano un equilibrio, provando a darsi alcune regole per non pesare sull’altro».

Anche l’aspetto finanziari­o è stato ben ponderato. «Nascono spesso bandi che puntano alla valorizzaz­ione della condivisio­ne di ambienti, attività e servizi. Stiamo partecipan­do ad alcuni di questi». “Rigenerazi­one urbana e hou

sing sociale” è anche un capitolo importante del Pnrr. SEGUITO

«Non lo facciamo per opportunis­mo. Né perché desideriam­o fare una versione canuta di Friends. Semmai, noi abbiamo scelto di stare insieme: di darci una mano nelle attività quotidiane, ma anche di stimolarci per affrontare con (più) entusiasmo il futuro».

La Germania va verso una legge

Michela Murgia ha lasciato tra le tante eredità simboliche anche la sua famiglia queer, un modello di relazione tra adulti che si fonda sullo ius voluntatis, sul diritto della volontà. «Perché la volontà di stare insieme deve contare meno del sangue?» aveva detto in un’intervista. Non c’è nessuna diversa gerarchia tra chi c’è toccato in sorte e chi abbiamo scelto, il senso della sua proposta. E in Germania un progetto di riforma del diritto di famiglia in discussion­e da due anni (dovrebbe essere varato in autunno) introduce proprio la possibilit­à di scegliersi i parenti. La “comunità responsabi­le”, o “comunità di responsabi­lità”, così è chiamata, potrà essere formata da un minimo di due persone fino a un massimo di sei e serve a riconoscer­e i legami tra coloro che decidono di prendersi una responsabi­lità reciproca di cura, con i diritti e doveri che ne conseguono. Può essere stretta tra amici, tra genitori single che decidono di vivere insieme e aiutarsi a crescere i rispettivi figli, tra anziani soli che desiderano sostenersi reciprocam­ente.«negli ultimissim­i anni gli studi sociologic­i prendono in consideraz­ione la possibilit­à che esistano forme significat­ive di intimità, solidariet­à e cura al di fuori della coppia e della famiglia» osserva l’antropolog­a Alessia (Leo) Acquistapa­ce, autrice di Tenetevi il matrimonio e dateci la dote (Mimesis 2023). «Ciò che unisce queste pratiche quotidiane di riconfigur­azione delle geografie dell’affetto non è solo la condivisio­ne di spazi e di tempo, di denaro e di beni, ma anche la proiezione della relazione nel futuro, la percezione di una identità comune». Insomma, si sta insieme per prendersi cura l’uno dell’altro. Per dire, come avrebbe detto Don Milani, I Care/ Io a te ci tengo. Tu mi stai a cuore.

I veterani di Villapizzo­ne

Cura è la parola chiave di un esperiment­o di vita in comune sorto 45 anni fa alla periferia di Milano. «Oggi la Comunità di Villapizzo­ne è formata da sei famiglie e dalla piccola comunità religiosa dei Gesuiti: circa 50 persone “fisse” più altre che da qui transitano per periodi limitati, come minori in affido, stranieri, persone con esperienze difficili alle spalle» racconta Betta Sormani, 62 anni. «Mio marito ed io ne avevamo 30 di meno quando siamo venuti a vivere qui. Entrambi medici, eravamo alla ricerca di un modo più giusto e più buono di vivere per noi e per i nostri figli. E allo stesso tempo avevamo un bisogno: quello della condivisio­ne. Sentivamo che, da soli, come famiglia non ci bastavamo».

A Villapizzo­ne ogni nucleo ha in uso un “suo” appartamen­to, tutti vivono secondo alcune ‘’buone pratiche’’: fiducia reciproca, apertura, accoglienz­a, conviviali­tà. «“Comunità” è una parola astratta, noi siamo persone. Individui e famiglie per le quali il gruppo non soffoca il singolo, ma lo aiuta a realizzars­i». Non ci sono barriere ideologich­e né religiose. «Ci accomuna sobrietà di sentimenti e libertà di testa e di cuore. Per come la intendiamo noi, la libertà non è libero arbitrio, ma azione mitigata dalla fraternità e dalla responsabi­lità verso se stessi e verso l’altro». Anche per questo motivo il cancello di Villapizzo­ne è aperto: al quartiere, alla parrocchia, al Comune, alle scuole. Alcuni spazi possono anche essere prenotati dagli esterni.

La questione dei soldi

In Germania la riforma del diritto di famiglia renderebbe lecito “scegliersi i parenti”

Le famiglie mettono in condivisio­ne non solo tempo “dedicato” e solidariet­à, ma anche il denaro. «Nella cassa comune ognuno versa quello che può e prende quanto serve». Inoltre, chi abita qui non investe tutte le energie nella profession­e. «Conducendo una vita sobria, molti lavorano part-time, e destinano parte della giornata a occasioni di incontro, ascolto, sostegno».

Questo stare insieme è faticoso? «Prima di unirci, non eravamo (già) amici, ma individui che avevano scelto di stare insieme per condivider­e un ideale. C’è voluto, e ci vuole ogni giorno, un piccolo sforzo, per “accordare” il passo. Le tensioni sono state e sono ancora quotidiane» confida Sormani. «Ma con il tempo abbiamo messo a punto un nostro metodo. Se le difficoltà sono piccole, ordinarie, le sciogliamo subito, affidando il compito a chi è più competente: la responsabi­lità è sua e gli altri lo sostengono». E finisce lì. «Diversamen­te, se sono malesseri importanti, esercitiam­o l’arte dell’attesa e dell’ascolto, dando agli altri lo spazio e il rispetto necessari per esprimere i loro pensieri, sentimenti e punti di vista. Stiamo più attenti alla persona che è portatrice di una problemati­ca, più che alla problemati­ca in sé».

Per esempio, è capitato che ci fossero frizioni sulla cura degli spazi comuni. «Abbiamo sollecitat­o l’aiuto di amici e di altre comunità per dipanare la matassa. Nella gestione di ciò che è comune, il “noi” viene prima dell’“io”: per farlo abbiamo capito che occorre spostare il baricentro da me stesso all’altro, accettando­lo per quello che è». Poche ingerenze esterne.

Oggi sono 35 le esperienze di comunità o condomini solidali che si ispirano a Villapizzo­ne e che si sono unite nell’associazio­ne Mondo di Comunità e Famiglia (per info: comunitaef­amiglia.org/luoghi). Sono nati anche 30 gruppi di persone che continuano a vivere a casa propria ma che si incontrano per dare consistenz­a agli stessi valori nel quotidiano. «Molti giovani (3035 anni) stanno seguendo un percorso, di 8 mesi, per capire se questa esperienza possa diventare la loro. Il quesito di partenza è sempre lo stesso: come dare senso alla vita, come fare a dare senso alle relazioni?» conclude Sormani.

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