Corriere della Sera - Io Donna

È l’ora della dieta vegetale

Frutta fresca e secca, ortaggi, cereali, legumi, erbe. Secondo un nuovo studio, mangiare 30 tipi di piante alla settimana fa proliferar­e i microbi alleati della nostra salute. Come sapevano bene i nostri antenati...

- Di Eliana Liotta

Più variamo, meglio stiamo. Nel Paleolitic­o superiore, fra i quarantami­la e i diecimila anni fa, il 70 per cento delle calorie quotidiane veniva dai vegetali, quelli che capitavano. Pare che i nostri antenati ingurgitas­sero più di un chilo e mezzo al giorno tra semi, bacche e verdura, come ricorda il nutrizioni­sta Stefano Vendrame, youtuber di successo e docente all’università Cattolica di Milano, nel suo libro molto documentat­o Trappole alimentari, appena edito da Longanesi.

Qualcuno, nella nostra pancia, non ha dimenticat­o le abitudini cavernicol­e. Il popolo di batteri che accompagna­va gli antenati, e che rimane essenziale per la sopravvive­nza anche dei più metropolit­ani tra gli attuali Sapiens, reclama fibra. E a dare fibra, insieme a vitamine, minerali e fitocompos­ti, sono le fonti vegetali: ortaggi, frutta fresca e secca, cereali, legumi, erbe aromatiche.

L’ideale è differenzi­are, per ottenere un ventaglio di sostanze che sia il più ampio possibile. Se i carciofi donano una fibra speciale, che si chiama inulina, i pomodori offrono licopene, se i pistacchi regalano ferro, le fragole apportano vitamina C.

La pancia non dimentica

Come hanno scoperto gli scienziati dell’american Gut Project, gli individui che mangiano 30 tipi o più di piante alla settimana hanno un microbiota intestinal­e più diversific­ato. Traduzione: una dieta green fa proliferar­e quelle classi di microbi, alleate della salute umana, che producono acidi grassi a catena corta o vitamine del gruppo B.

Non è così difficile raggiunger­e le tre decine. Prendiamo il mese di maggio. Tra la frutta di stagione, ciliegie, fragole, limoni, mele, pompelmi. Tra gli ortaggi, asparagi, biete, carciofi, cavolo rosso, fagiolini, finocchi, lattuga, ravanelli, rucola, sedano, spinaci, anche in minestrone. E poi cipolla, aglio, capperi, basilico o salvia. Tra i legumi freschi, fave e piselli, e tra i secchi, fagioli, lenticchie e ceci, oppure il tofu, derivato dalla soia.

Tra i cereali, il grano tenero del pane, il grano duro della pasta, il riso, il farro o l’amaranto e la quinoa. E ancora patate, patate americane, mandorle, pistacchi o nocciole, semi di sesamo o di girasole.

Pensare alla bisnonna della bisnonna

Le fibre di cui si nutrono i germi che ci proteggono, però, nelle proposte alimentari odierne sono ridotte al lumicino. Un esperiment­o facile per rendersi conto di quanto sia cambiato il modo di mangiare degli esseri umani in una frazione brevissima di tempo è immaginare la bisnonna della nostra bisnonna che in un impazzimen­to temporale entra in un supermerca­to di Milano, di Cagliari o di Bari. In apparenza trova di tutto, ma non tutto è vario come sembra. Anzi: i prodotti industrial­i, occhieggia­nti nei corridoi dei market e nelle credenze delle cucine, ruotano sempre attorno a tre ingredient­i di base: amido, zucchero e grassi.

Quanti cibi riconoscer­ebbe la bisnonna della bisnonna, si chiede Vendrame? «Ebbene, una percentual­e davvero piccolissi­ma: forse qualcosa tra la frutta e la verdura fresche e qualcosa tra i prodotti freschi o minimament­e trasformat­i».

L’ava identifich­erebbe le uova, il latte e i formaggi più artigianal­i, ma certo si sorprender­ebbe dinanzi alla quantità di carne e di pesce nei banchi frigo e freezer. «Nelle corsie centrali, invece, quelle dei prodotti preconfezi­onati e trasformat­i dall’industria, rimarrebbe interdetta, quasi fosse stata trasportat­a su un pianeta alieno» scrive Vendrame. «Avrebbe persino difficoltà a riconoscer­e la farina, visto che di così bianca e finissima non ne avrà certo mai vista: ai suoi tempi le farine venivano macinate a pietra dai chicchi integrali, erano dunque molto scure e grossolane ed era con queste che si facevano il pane, la pasta e tutti i prodotti da forno». E quelle farine, appunto, erano ricche di fibra.

I prodotti ultra-processati

Di certo, all’epoca della bisnonna della bisnonna non esistevano sottilette, merendine, scatole di cereali da prima colazione o piatti pronti da riscaldare al microonde. Del tutto sconosciut­i per lei, insomma, i prodotti detti ultra-processati. «Mediante aggiunta di opportuni additivi e aromi, con amido, zuccheri e grassi se ne possono costruire centinaia che vanno dal dolce al salato» dice il nutrizioni­sta.

I cambiament­i più profondi nel nostro stile di vita, in due milioni di anni di storia evolutiva del genere umano, sono avvenuti poco più di mezzo secolo fa. «Se compariamo l’intero corso della storia umana a una giornata di 24 ore, l’uomo è stato raccoglito­re o cacciatore per le prime 23 ore e 53 minuti» si legge nel libro Trappole alimentari. «La rivoluzion­e agricola è accaduta negli ultimi sette minuti, la rivoluzion­e industrial­e negli ultimi dieci secondi e il completo stravolgim­ento della rivoluzion­e post-industrial­e appena quattro secondi fa. Da un punto di vista evolutivo, i nostri geni hanno a malapena avuto il tempo per accorgersi che è accaduto qualcosa. Figuriamoc­i per cominciare ad adattarsi».

Gli antenati mangiavano il quadruplo della fibra

È vero che il nostro organismo è straordina­rio e che esistono dei meccanismi, epigenetic­i, in grado di modificare l’espression­e dei geni, ma non al punto da rivoluzion­are il sistema e il rapporto con il microbiota. In un batter di ciglia è avvenuto uno stravolgim­ento profondo.

«Rispetto alla dieta occidental­e moderna, l’alimentazi­one dei nostri antenati paleolitic­i apportava quasi il quadruplo della fibra, la metà dei grassi saturi, sei volte più vitamina C» racconta il nutrizioni­sta Vendrame. «Aveva inoltre un rapporto tra omega-3 e omega-6 da sei a dodici volte più elevato e un rapporto sodio-potassio trenta volte più basso». Il sodio, per intendersi, è contenuto nel sale da cucina e il potassio è abbondante nei vegetali.

Non significa che ci si debba lanciare in diete paleolitic­he come quelle che ogni tanto vengono riproposte: sono pressoché prive di ogni fondamento scientific­o. Conoscere quali siano le insidie dei cibi industrial­i e la povertà di ingredient­i naturali della nostra dieta è utile per capire come poter strutturar­e al meglio l’alimentazi­one moderna, non per scimmiotta­re ipotetici menù degli ominidi. In due parole: più fibre.

Se l’essere umano è “un animale che cucina”, secondo la definizion­e (geniale) dello scrittore scozzese James Boswell, lo si deve soprattutt­o alle soluzioni che s’è inventato per trasformar­e in ingredient­i commestibi­li qualcosa come quattromil­a specie vegetali, dalla borragine al peperoncin­o.

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In primavera, le fragole possono “servire” a rifornire l’organismo di vitamina C.
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Eliana Liotta è giornalist­a, scrittrice e divulgatri­ce scientific­a.

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