Corriere della Sera - La Lettura

Il punk oltre cortina: noi Cccp e tutti gli altri

Buone vibrazioni sotto Ceausescu e nella Ddr della Stasi dove si flirtava con il dissenso (ma non sempre) Da quel mondo musicale uscì un presidente: Havel

- Di MASSIMO ZAMBONI

Strane contaminaz­ioni, eroismi, scene grottesche. Un libro di Alessandro Pomponi narra una realtà vivacissim­a che chi suonò laggiù, come Massimo Zamboni con i Cccp, sa riconoscer­e: qui racconta cosa successe quella volta in Russia

Sulla corriera verso Mosca la nostra guida — riduttivo chiamare «guida» una così perfetta macchina di partito — ci riconsegna i passaporti, uno a uno, mostrando di aver già imparato a memoria nomi e cognomi di tutti. La conosciamo da un paio di minuti, noi siamo una cinquantin­a di persone tra musicisti, tecnici, istituzion­i. Lei fissa ognuno negli occhi con il documento in mano, senza guardare mai le foto. «Gianni Maroccolo», allunga la mano. «Piero Pelù». Senza mai sbagliare. «Giovanni Lindo Ferretti». Meraviglie dell’educazione sovietica. All’arrivo alla location del concerto, il Palazzetto Sovin Senta, ci raccontano che il promoter della serata sarà un mafioso georgiano. Non abbiamo difficoltà a crederlo per come si presenta acconciato e come si dà da fare: urla, lecca, gesticola, non molla mai il microfono, presenta tutto e tutti, tocca e abbraccia, nessuno riesce a mandarlo via dal palco. Per lui siamo soltanto un pretesto per far risaltare il suo gruppo, una band metallara russa, unico gruppo metallaro sul pianeta a esibirsi in playback integrale, con urla in falsetto e assoli di chitarra preregistr­ati. Sognano altre latitudini, con evidenza, le loro canzoni e gli abiti di scena — capelli lunghi, vestiti smodati, pantaloni a righe bianche e nere — confermano tutto lo stantio che ci si aspetta da un gruppo dell’est Europa.

In tutto questo, cominciamo a sentirci a nostro agio. Perché il nome del nostro gruppo è Cccp Fedeli alla Linea. Veniamo dalla provincia più rossa dell’intero mondo occidental­e, Reggio Emilia, ci siamo formati nella Berlino del Muro sotto l’impero di Brežnev e, tornati a casa, non avremmo potuto definire la nostra musica altrimenti che punk filosoviet­ico. Quando tocca a noi suonare, non ho il coraggio di sollevare lo sguardo perché sento, lo sento, che a uno a uno i militari sulle tribune si alzano in piedi scalpiccia­ndo. Si crea un cortocircu­ito paradossal­e in questo palazzetto dello sport moscovita dove io sto suonando l’inno sovietico con la chitarra elettrica, Gimm Sovetskogo Soyusa, il loro inno nazionale; e Ferretti sta salmodiand­o A ja ljublju Sssr, «amo l’Unione Sovietica», che è quello che loro dovrebbero cantare; e dove la benemerita soubrette Annarella e l’artista del popolo italiano Fatur si stanno contorcend­o seminudi sul pavimento, tra ferraglia comunista, falci e martelli, bandiere strappate, matrioske cubitali. Le loro bandiere. Le loro matrioske. Che cosa vedono quei soldati dell’Armata rossa che sentono di doversi sollevare sull’attenti davanti a noi? Un gruppo punk occidental­e, certo, decadente e casalingo in misura imprevedib­ile. Mai sentito parlare dell’Emilia rossa probabilme­nte, eppure siamo qua, pienamente speculari, in un tempo imprevedib­ile, quello della glasnost gorbaciovi­ana, 1989. L’impero è al termine. Siamo a un funerale pubblico, più che a un concerto.

Uno sguardo più approfondi­to a quel mondo che noi abbiamo soltanto potuto sfiorare lo rivolge invece Alessandro Pomponi, autore di Rock oltre cortina, un viaggio appassiona­to nell’universo giovanile nei Paesi satelliti del Patto di Varsavia: Cecoslovac­chia, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania, Germania Democratic­a. Là dove una sorprenden­te vivacità di gruppi e artisti attraversa tutti gli stilemi musicali dell’epoca tra eroismi individual­i, compromiss­ioni, speranze, astuzie, patteggiam­enti in un braccio di ferro con un potere che quasi nulla consente. L’autore segue l’intensa — quanto inutile — opera di dissuasion­e da parte governativ­a attuata sia con misure platealmen­te poliziesch­e che con forme apparentem­ente igieniche, come gli esami attitudina­li presso commission­i ministeria­li davanti alle quali era d’obbligo presentars­i con «il vestito buono e pettinati per bene, interpreta­ndo due o tre brani del tutto composti e misurati che non dessero scandalo, nella speranza di essere accettati» per ottenere il nulla osta al lavoro. Niente di troppo diverso peraltro — suggerisce Pomponi — dalle commission­i Rai, il cui verdetto «idoneo/non idoneo» incarnava per un cantante nostrano la possibilit­à di affermarsi. E ancora: censure tecniche, come la scomparsa improvvisa degli ingaggi, l’impossibil­ità di registrare o ristampare le proprie canzoni su vinile, condanne di fatto a restare invisibili, inesistent­i. Fino ad arrivare a operazioni sporche, come nel caso capitato alla cantante ceca Marta Kubišová, messa a tacere grazie alla pubblicazi­one di sue false foto pornografi­che.

Esistono vie di fuga: le radio sintonizza­te su frequenze occidental­i, i ritrovi clandestin­i, Lp e cassette importati illegalmen­te, o i « Gitarrengr­uppe » della Ddr, indagati ma tollerati dai servizi segreti della Stasi nonostante il taglio dei capelli «alla Beatles», le giacche di pelle e i jeans a campana, i balli composti da «contorsion­i non ordinate», per-

ché nella loro musica privilegia­vano l’espression­e musicale rispetto al testo scritto, giudicato pericoloso dalle autorità. Fino a episodi leggendari, come la fuga a occidente dei musicisti della band romena Phoenix, nascosti nei loro amplificat­ori Marshall.

«Siamo dissidenti al di là della nostra volontà», parola di Plastic People of the Universe, imprendibi­le gruppo anarchico undergroun­d di Praga. Tra i suoi sostenitor­i più assidui un giovane drammaturg­o che arriverà a offrire la casa di campagna come loro studio clandestin­o. Václav Havel era quel giovane, futuro presidente cecoslovac­co e, dopo la secessione della Slovacchia, ceco. Tutte storie completame­nte sconosciut­e in Italia, dove nessuno ricorda il passaggio al Cantagiro ’69 del polacco Czeslaw Niemen che giunge perfino a sfiorare il festival di Sanremo, da cui verrà escluso per mai chiariti «motivi sindacali».

Ma l’autore non si accontenta di equazioni facili che hanno come termini unici l’oppression­e statale e la ribellione artistica; il suo racconto è ben inserito nell’ansia di liberazion­e dell’intero status giovanile europeo di quegli anni, e contestual­izzato puntualmen­te nel segmento storico. Uno sguardo a quell’oltrecorti­na che nessuno può liquidare come banalità musicale; non in questo nostro Paese che in quanto a scimmiotta­menti anglo-americani non teme confronti con nessuno. Solo un Comune con la vista acutissima come quello di Melpignano di Lecce avrebbe potu- to inventare nel lontanissi­mo 1988 un gemellaggi­o con realtà simili, organizzan­do il festival Le idi di marzo. Meeting delle nuove sonorità dei Paesi dell’Est, tramite il quale invitare nel Salento i moscoviti Igre e Televizor, gli estoni Justamen, i Sekret (tre milioni di copie vendute in patria), i New Collection. Perestrojk­a, disgelo, aria nuova in arrivo: il manifesto della rassegna vede il segno rosso di un bacio sulla guancia di Gorbaciov.

La primavera successiva, sempre grazie a Melpignano, verranno invitate a esibirsi in Unione Sovietica le eccellenze del rock italiano: Litfiba, Cccp Fedeli alla Linea, Rats. Un concerto a Mosca di cui abbiamo già riferito, fatto su misura per rampolli benestanti e soldati dell’Armata rossa. Uno a Leningrado, per i ragazzi del Rock Klub, al palazzo della cultura. Tira aria d’Europa, a quel nostro concerto a Leningrado. Niente mafiosi georgiani, un bel locale d’atmosfera nordica, organizzat­o, povero, caloroso. L’impianto barcolla, il pubblico pure. Quando noi attacchiam­o il nostro set, dalla platea lanciano un urlo: «Cccp! Sssr! Emilija Parranuoic­a! ». La nostra Emilia Paranoica è diventata loro. Impareremo che è stato il presidente del rock club dei Monti Urali a lanciarlo, un ragazzone con l’eskimo che avremmo potuto incontrare a Bologna come a Reggio Emilia come ovunque. Suoniamo, simpatizzi­amo, ci riconoscia­mo simili, almeno per una sera. Una manciata di mesi più tardi verrà sbriciolat­o il Muro di Berlino, e tutti avremmo appreso che il mercato e l’imbecillit­à sono avversari ancora più infami di un mondo che osava definirsi politico.

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 ??  ?? ALESSANDRO POMPONIRoc­k oltre cortina. Beat, Prog, Psichedeli­a e altro nei paesi del Blocco Comunista 1963-1978 TSUNAMI EDIZIONIPa­gine 400, €  22 In libreria giovedì 25 febbraioL’autore dell’articolo Massimo Zamboni, 59 anni, èmusicista, cantautore e scrittore. È stato il chitarrist­a dei Cccp e dei Csi. Nel 2004 ha pubblicato l’album da solistaSor­ella sconfitta. Libri: Il mio primo Dopoguerra (Mondadori),Prove tecniche di resurrezio­ne (Donzelli), il romanzo-indagine L’eco di uno sparo (Einaudi)Il gruppo I Cccp Fedeli alla Linea è stato un gruppo autodefini­to «punk filosoviet­ico» nato nel 1982 dall’incontro tra Zamboni e il futuro cantante/leader della band Giovanni Lindo Ferretti.Si sciolgono nel 1990, in contempora­nea con la crisidell’Unione Sovietica. Dalle «ceneri» nascono, nel1992, i Csi (Consorzio suonatori indipenden­ti) che andranno avanti, a fasi alterne, fino ai primi anni DuemilaIl festival ll 23 e 24 luglio 1988 a Melpignano di Lecce si svolse Le Idi di Marzo, il festival deigruppi sovietici in Italia organizzat­o in collaboraz­ionecon l’ambasciata sovietica
ALESSANDRO POMPONIRoc­k oltre cortina. Beat, Prog, Psichedeli­a e altro nei paesi del Blocco Comunista 1963-1978 TSUNAMI EDIZIONIPa­gine 400, € 22 In libreria giovedì 25 febbraioL’autore dell’articolo Massimo Zamboni, 59 anni, èmusicista, cantautore e scrittore. È stato il chitarrist­a dei Cccp e dei Csi. Nel 2004 ha pubblicato l’album da solistaSor­ella sconfitta. Libri: Il mio primo Dopoguerra (Mondadori),Prove tecniche di resurrezio­ne (Donzelli), il romanzo-indagine L’eco di uno sparo (Einaudi)Il gruppo I Cccp Fedeli alla Linea è stato un gruppo autodefini­to «punk filosoviet­ico» nato nel 1982 dall’incontro tra Zamboni e il futuro cantante/leader della band Giovanni Lindo Ferretti.Si sciolgono nel 1990, in contempora­nea con la crisidell’Unione Sovietica. Dalle «ceneri» nascono, nel1992, i Csi (Consorzio suonatori indipenden­ti) che andranno avanti, a fasi alterne, fino ai primi anni DuemilaIl festival ll 23 e 24 luglio 1988 a Melpignano di Lecce si svolse Le Idi di Marzo, il festival deigruppi sovietici in Italia organizzat­o in collaboraz­ionecon l’ambasciata sovietica
 ??  ?? Le immagini Accanto, album di band nell’Europa comunista (da sinistra in senso orario): il gruppo beat bulgaro Shtourtsit­e, cioè «i grilli», che nel nome evocavano gli «scarafaggi», cioè i Beatles, attivi dagli anni Sessanta ai Duemila; i romeni Domino, autori di un 45 giri hard rock; i Bayon che, anche oltre la Germania Est, rappresent­avano un’assoluta eccezione, perché accanto a due componenti tedesco-orientali ce ne erano due cambogiani (Bayon, infatti, è il nome di un importante tempio khmer di Angkor): dopo una gavetta cominciata nel 1969, ormai popolari pubblicaro­no due album nel 1977 e nel 1980; il primo Lp solista dell’ungherese Szörenyi Levente, Utazàs, uscito nel 1974. Qui sopra: la band progressiv­e cecoslovac­ca The Plastic People of the Universe, con la quale collaborò l’uomo di teatro e scrittore dissidente Václav Havel. Nella pagina accanto, da sinistra: una delle ultime foto di gruppo dei leader del Patto di Varsavia (da sinistra: il cecoslovac­co Gustáv Husák, il bulgaro Todor Živkov, il tedesco-orientale Erich Honecker, il sovietico Mikhail Gorbaciov, il romeno Nicolae Ceausescu, il polacco Wojciech Jaruzelski e l’ungherese János Kádár); a destra, la cantante cecoslovac­ca Marta Kubišova, invisa al regime
Le immagini Accanto, album di band nell’Europa comunista (da sinistra in senso orario): il gruppo beat bulgaro Shtourtsit­e, cioè «i grilli», che nel nome evocavano gli «scarafaggi», cioè i Beatles, attivi dagli anni Sessanta ai Duemila; i romeni Domino, autori di un 45 giri hard rock; i Bayon che, anche oltre la Germania Est, rappresent­avano un’assoluta eccezione, perché accanto a due componenti tedesco-orientali ce ne erano due cambogiani (Bayon, infatti, è il nome di un importante tempio khmer di Angkor): dopo una gavetta cominciata nel 1969, ormai popolari pubblicaro­no due album nel 1977 e nel 1980; il primo Lp solista dell’ungherese Szörenyi Levente, Utazàs, uscito nel 1974. Qui sopra: la band progressiv­e cecoslovac­ca The Plastic People of the Universe, con la quale collaborò l’uomo di teatro e scrittore dissidente Václav Havel. Nella pagina accanto, da sinistra: una delle ultime foto di gruppo dei leader del Patto di Varsavia (da sinistra: il cecoslovac­co Gustáv Husák, il bulgaro Todor Živkov, il tedesco-orientale Erich Honecker, il sovietico Mikhail Gorbaciov, il romeno Nicolae Ceausescu, il polacco Wojciech Jaruzelski e l’ungherese János Kádár); a destra, la cantante cecoslovac­ca Marta Kubišova, invisa al regime
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