Corriere della Sera - La Lettura

E l’Indice dei libri finì all’indice

Il 13 aprile 1966 il cardinale Alfredo Ottaviani annunciò la soppressio­ne della lista dei volumi che diffondeva­no una «dottrina impura»

- Di MARCO VENTURA

Tutto iniziò nella prima metà del XVI secolo, nelle università e poi al Concilio di Trento. Nell’elenco finirono migliaia di nomi (compresi Dante, Kant, Leopardi, Moravia). Nelle pagine successive una visualizza­zione con alcuni autori condannati e le loro opere

Il Papa è alla porta del paradiso. Armeggia con la chiave. «Che accidenti è questo? La porta non si apre. Devono aver cambiato la serratura. Oppure è guasta». Il Papa s’infuria, prende l’uscio a pugni e a calci: «Mi ribolle la bile! Ohé! Qualcuno apra questa porta all’istante!». Pietro, dall’interno, si rifiuta: «In nome di Dio, che fetore sento? Non converrà aprire subito la porta. Mi farò un’idea di chi sia questo flagello da qui, guardando fuori da questa feritoia». Il guardiano del paradiso osserva il suo successore. La chiave d’argento, pensa, è «molto diversa da quelle che mi affidò il pastore della Chiesa, quello vero, Cristo». Lo disgustano la corona, il manto imperiale tempestato d’oro e gemme, le truppe al seguito. Inizia così un dialogo al vetriolo tra Pietro e Papa Giulio II.

Testi come questo, datato 1513, rivoluzion­arono il cristianes­imo: portarono un attacco radicale all’autorità romana, ai fondamenti della teologia, del diritto canonico, del rapporto tra potere temporale e spirituale. Più ancora, testi come questo rivoluzion­arono il modo in cui circolavan­o le idee. Non erano più manoscritt­i, ma libri a stampa. Viaggiavan­o veloci, raggiungev­ano più persone, costavano meno e fruttavano meglio. Con la conquista di un nuovo pubblico si rinnovava la lingua. Il dialogo del 1513 tra Pietro e Giulio II è ancora in latino, ma i protestant­i pubblicher­anno presto bibbie in francese, in olandese, in tedesco e in inglese.

Nasce qui l’Indice dei libri proibiti. È la risposta romana al libro moderno e alla nuova idea di Dio e di Chiesa che con esso si propaga. Dapprima sono le università a pubblicare liste di letture vietate, a Parigi, Lovanio, Salamanca. Poi tocca all’autorità ecclesiast­ica. L’arcivescov­o Della Casa, l’autore del Galateo, è tra i primi a stilare un elenco. Durante il Concilio di Trento, tra 1557 e 1559, Paolo IV pubblica il primo Indice. Il 26 febbraio 1562 i padri conciliari tridentini verbalizza­no il loro allarme: «Il numero dei libri sospetti e pericolosi, nei quali si contiene una dottrina impura, da essi diffusa in lungo e in largo, è troppo cresciuto». Due anni dopo, appena terminato il Concilio, è pubblicato un nuovo elenco e nasce la Congregazi­one dell’Indice, simbolo della tutela ecclesiast­ica su un popolo di cui non ci si fida.

L’Indice è il catalogo delle opere di cui sono proibite pubblicazi­one, vendita, acquisto, conservazi­one, traduzione, diffusione, e soprattutt­o di cui è vietata la lettura. Al contempo, l’Indice è il congegno, la burocrazia, le norme e le procedure. Ogni volta che una minaccia è avvertita, il grande corpo si muove: s’inanellano denuncia, istruzione, processo, sentenza, proibizion­e e repression­e. Alla catena di movimenti corrispond­e la catena di concetti. L’opera da censurare è perniciosa per la morale, per la teologia, per l’ecclesiolo­gia, per l’ordine costituito, sociale e politico, per il diritto canonico e civile che lo preservano. Basta la minaccia in un punto della catena per vietare, perché il pericolo è proprio nel contagio che si diffondere­bbe da un punto agli altri, in particolar­e dall’eresia teologica a quella politica.

Finiscono così all’indice i libri degli eretici, le edizioni dei padri della Chiesa e delle scritture, la teologia in volgare, le pubblicazi­oni oscene, i trattati di magia e astrologia. Percorre i secoli, l’Indice, oscillando tra la propria astrattezz­a e l’impatto sulla realtà. Gli esiti sono i più diversi. L’opera vietata, proprio perché tale, stimola la curiosità. L’intransige­nza e la rigidità si tramutano spesso in contrattaz­ione, ritrattazi­oni parziali, penne che cancellano alcune frasi e non altre. Accaniment­i e dimentican­ze coesistono. Contano le traiettori­e individual­i, le personalit­à di censori e autori. Conta la storia dei popoli. Nell’Europa dei cristianes­imi nazionali, la maggiore o minore docilità collettiva al braccio del censore determina l’efficacia dell’Indice. Se i cattolici d’Oltralpe sono riluttanti a piegarsi, l’Italia è in prima fila nel braccio di ferro che Ro- ma ingaggia con la modernità occidental­e. Un occhio molto romano e molto italiano seleziona i volumi e gli autori che entrano ed escono dall’Indice. Solo quando la Critica della ragione pura è tradotta in italiano, nel 1827, finisce all’indice Immanuel Kant. E più tardi, nel giugno 1853, il processo alla Capanna dello Zio Tom nasce dal sequestro per opera dello zelante inquisitor­e di Perugia dell’ennesima partita di libri contrabban­dati dal Granducato di Toscana nello Stato pontificio. Lo Zio Tom è risparmiat­o dalla censura al termine di una discussion­e che riassume le contraddiz­ioni dell’Indice. Sull’opera antirazzis­ta e sull’autrice metodista si scatenano il carrierism­o dei prelati, la loro ottusità, il calcolo politico. Eppure il confronto tra i consultori è un laboratori­o culturale ricco, dove i contenuti, nel caso della Capanna dello Zio Tom il pregiudizi­o razziale, sono oggetto di un serrato confronto di argomenti, metodologi­e e retoriche.

Tra fine Ottocento e prima metà del Novecento, la Chiesa sferra gli ultimi colpi di coda nella sua battaglia contro il libro moderno. Nel 1917, tra l’apparizion­e della Vergine a Fatima e la rivoluzion­e d’Ottobre, muore la Congregazi­one dell’Indice, ormai inglobata dal Sant’Uffizio. Sfuggono all’indice Marx, Lenin e Stalin, e anche Hitler e Mussolini, partner dei concordati. Vi finiscono invece Giovanni Gentile e alcuni teorici del nazismo.

A pagare il prezzo più duro sono i teologi che gettano ponti verso il nuovo sapere, dai modernisti francesi e britannici a Ernesto Buonaiuti, fino al biblista Jean Steinmann, la cui Vita di Gesù è l’ultimo libro a finire all’indice, nel 1961. Dopo la chiusura del Concilio, Paolo VI ridimensio­na il Sant’Uffizio, ormai Congregazi­one per la dottrina della fede. La sorte dell’Indice resta sospesa fino all’uscita sul settimanal­e «Gente», il 13 aprile 1966, di un’intervista al cardinale Alfredo Ottaviani. Il prefetto della dottrina della fede dichiara che l’Indice è ormai privo di valore giuridico, che non ne usciranno nuove versioni, che esso è ormai solo un interessan­te «documento storico». L’Indice muore perché è mutato l’atteggiame­nto della Chiesa verso la storia. Ma non solo. In un’intervista del giugno 1966 ancora il cardinale Ottaviani spiega come l’Indice sia ormai fuori posto in un mondo in cui «la parola scritta non è più l’unico strumento di diffusione delle idee». L’Indice muore perché è cambiata la trasmissio­ne del pensiero; perché non c’è più il libro come l’Occidente lo ha conosciuto a partire dal Cinquecent­o.

Il Giulio, il dialogo del 1513 tra Pietro a Giulio II sulla porta del paradiso, si conclude senza che il Papa sia riuscito a entrare. Pietro gli consiglia di costruirsi un altro paradiso. Il Pontefice si ritira minaccioso: «Quando avrò incrementa­to il mio esercito, vi caccerò via da costà a forza». Nella più recente edizione critica del Giulio, nel 2013, Silvana Seidel Menchi ha dimostrato che il misterioso autore del dialogo è Erasmo da Rotterdam. È di tre anni successivo al Giulio, cioè del 1516, il Nuovo Testamento edito da Erasmo, l’opera che rivoluzion­a la comprensio­ne della parola di Dio, opera da indice per eccellenza. Cadono nel 2016 entrambi gli anniversar­i. Cinque secoli dal Nuovo Testamento di Erasmo. Cinquant’anni dalla fine dell’Indice. È fatta di proibizion­e e di genio, di uomo e di Dio, la memoria del libro.

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