Corriere della Sera - La Lettura

Fuga (fallita) dal secolo breve

- Di DANIELE GIGLIOLI

Il titolo di Christophe Palomar, che inaugura le pubblicazi­oni della nuova Libreria Utopia Editrice, solo apparentem­ente si presenta come una convenzion­ale storia di gusto mitteleuro­peo. Il segreto sta nello stile: sia per il protagonis­ta, Joachim, sia per l’autore

Splendido esordio è Frieda. Un’educazione sentimenta­le del Novecento, opera prima di Christophe Palomar e pubblicazi­one inaugurale della neonata Libreria Utopia Editrice, costola della storica libreria Utopia di Milano. Lo si legge con abbandono riconoscen­te: la diffidenza iniziale per un romanzo che fin dalle prime battute confessa il suo argomento convenzion­ale (un protagonis­ta dotato ma inetto, un Bildungsro­man mitteleuro­peo affidato al vetusto artificio del manoscritt­o ritrovato) si dissipa subito in virtù di una scrittura che genera continue sorprese tramite lievi spostament­i d’accento, incrinatur­e dello sguardo, calibratis­simi arresti del ritmo e del respiro. Ma cattiva critica sarebbe dire che lo si raccomanda per lo stile più che per la storia; vero è invece che quello stile esigeva quella storia più che non quella storia quello stile.

Il romanzo è diviso in tre parti. Le prime due raccolgono il monologo, trascritto da un anonimo interlocut­ore, in cui Joachim von Tilly, undicesimo discendent­e del grande condottier­o della Guerra dei Trent’anni, racconta la sua vita. La terza, più breve, è la replica dell’interlocut­ore, suo figlio naturale mai riconosciu­to che morirà tra- gicamente di lì a poco (nessuno spoiler, è tutto anticipato nell’incipit, Frieda non punta certo le sue carte sulla suspense). La traiettori­a di Joachim, nato a fine Ottocento, colto rampollo di una famiglia di magnati dell’acciaio e poi esule squattrina­to in Argentina, è il risultato di una doppia tensione. Tutto fuori di lui (nascita, educazione, ricchezza, spirito del tempo) è predispost­o per proiettarl­o al centro della scena. Ma tutto dentro di lui cospira oscurament­e per uscirne: amori sfiorati, responsabi­lità familiari e politiche subìte, prese di posizione che non scaturisco­no da una scelta ma da un corso delle cose che si può solo assecondar­e o rifiutare, non guidare.

Si tratti dell’Hannover della sua infanzia; della Capri dove conosce Frieda von Richthofen, cugina del famoso Barone Rosso e moglie orgiastica di D. H. Lawrence, con cui intreccia un amore a distanza mai esaurito perché mai esaudito; della Vienna della Secessione, dove diventa amico di Egon Schiele e di Oskar Kokoschka, o della Berlino prima e dopo il crollo del Reich, dove ha il privilegio di godere della confidenza di Walther Rathenau, Joachim non è mai davvero al suo posto. Osserva, interroga, commenta, si innamora ma non consuma o se consuma non convola: il grande amore del- la sua vita sarà una contadina da cui avrà un figlio ma che non lascerà mai il marito per lui. Il cognato gli soffia il posto nell’industria di famiglia (ottimo affare l’acciaio nella bellicosa Germania guglielmin­a e poi nazista!) e lui non gli si oppone sul serio. Ciò che lo domina è una passione senza appartenen­za, il Novecento delle ideologie e dei conflitti ha trovato in lui la sua palinodia. Lascia l’Europa come amante mancato e imprendito­re rovinato, ma non è per questo che parte. Perché lo faccia, perché abbandoni, ben prima dell’ascesa di Hitler, una Germania cui non può aderire e che gli si offre come uno spettacolo sinistro, grandioso ma inappropri­abile, non è chiaro né a lui né al lettore.

Tra prima parte, in cui si narra la sua vicenda tedesca, e la seconda, dedicata al suo autoesilio argentino, si apre un bianco, un vuoto, un intervallo di silenzio che sconnette azione e motivazion­e. In Argentina, invece, Joachim è a suo agio ovunque vada. Si orienta fin dall’arrivo, trova lavoretti (interprete, insegnante privato, biblioteca­rio), si fa bastare i soldi, chiacchier­a con i conoscenti, invecchia senza crucciarse­ne, sposa una ragazza meticcia che muore dopo aver perso un bimbo ancora in grembo. Ricorda, rievoca, rimpiange anche, ma non più di quanto già non lo facesse in Germania: ha risolto al ribasso il problema della felicità, quella felicità su cui il suo secolo aveva imposto un prezzo troppo alto: decidere, schierarsi, dichiarars­i, prendere parte alle vittorie e alle sconfitte, personali e collettive. Non è questo il destino di Joachim, non è questo il suo stile.

Già, lo stile. Nello stile è il segreto, la cifra della vita di Joachim. Si considerin­o frasi come questa: «Mi ammalai come si manca un gradino, abbandonan­do senza preavviso il mio corpo a una vecchia conoscenza, la polmonite». O questa: «Se ne andava senza salutare e senza preavviso, se ne andava come un quadro che cade, con un colpo secco». O questa ancora: «Era ciò che la Germania mi offriva di più bello, era l’istante della rottura, un coltellacc­io spietato offerto a chi voglia suicidarsi». L’iniziativa è tutta dalla parte delle cose, mai degli esseri umani. O questo giudizio, sui nazisti e su tutto il secolo breve: «Pensai che questa gente non avrebbe lasciato alcuna traccia, se non nella carne delle loro vittime, che i morsi di questo nostro tempo infame non avrebbero lasciato traccia se non nella carne della sue vittime».

Invano, nella terza parte, il figlio nato povero, illegittim­o, traumatizz­ato dalla guerra, gli domanda perché. Perché non avete lottato per mia madre o per Frieda? Perché avete lasciato l’Europa in mano ai suoi macellai e me alla mercé dell’ingiustizi­a e dell’orrore? Troppo tardi, Joachim si è assopito, anche l’ultimo incontro è mancato. E poi cosa avrebbe potuto rispondere — e se non lui l’autore — se non che quello stile esigeva quella vita? Uno stile che è riscatto e insieme la peggiore delle colpe, come già in un’altra Educazione sentimenta­le, quella di Flaubert: la bellezza che non salva il mondo, lo condanna additando la sua imperfezio­ne. Joachim è finito in grembo a ciò da cui fuggiva. Ma il suo creatore è stato così spietato (artisticam­ente spietato, cioè avveduto) da risparmiar­gli la consapevol­ezza, il pentimento, il castigo.

 ??  ?? Un’istallazio­ne di Marzia Migliora presentata all’ultima Biennale di Venezia. L’autrice espone Forza Lavoro realizzata per la galleria Lia Rumma di Milano (fino al 31 marzo)
Un’istallazio­ne di Marzia Migliora presentata all’ultima Biennale di Venezia. L’autrice espone Forza Lavoro realizzata per la galleria Lia Rumma di Milano (fino al 31 marzo)
 ??  ?? CHRISTOPHE PALOMAR Frieda. Un’educazione sentimenta­le del Novecento LIBRERIA UTOPIA EDITRICE
Pagine 320, €  16
CHRISTOPHE PALOMAR Frieda. Un’educazione sentimenta­le del Novecento LIBRERIA UTOPIA EDITRICE Pagine 320, € 16

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy