Corriere della Sera - La Lettura

Vittorio e le sue sette donne: un intreccio di solitudini

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Dopo la sostanzial­e linearità di Correva l’anno del nostro amore, Caterina Bonvicini (1974) con Tutte le donne di torna alla più composita struttura narrativa di L’equilibrio degli squali (2008) e sorriso lento (2010), di cui si rinvengono talune costanti, quali una vicenda affidata a più registri narrativi ed espressivi, messaggi affidati a strumenti elettronic­i (là email, qui WhatsApp), rinvenimen­ti di messaggi del passato (là lettere, qui email), la presenza della musica o anche di malattie (depression­e, cancro), una città coprotagon­ista (là Torino, qui una Milano assai più viva) e altro ancora. Il tutto però depositato in un romanzo davvero nuovo, che scorre con grande fluidità in un crescendo non privo di sorprese nel capitolo conclusivo.

Un romanzo che si dipana nell’arco di un anno, scandito su date quali Natale, Carnevale, Pasqua, Ferragosto e Sant’Ambrogio (7 dicembre), ciascuna di esse — salvo l’ultima — affidata a una struttura da «girotondo» alla Schnitzler. Perché ogni festività è vissuta da sette voci che si susseguono con modalità espressive e ordine di succession­e differenti: da Lucrezia, ottantanov­enne madre di Vittorio, scrittore in decadenza dopo una vittoria al Campiello, alla sorella di lui Francesca; all’ex moglie Ada e alla prima figlia Paoletta; alla moglie attuale Cristina e alla figlia diciannove­nne Giulia; alla giovane amante Camilla. Una famiglia allargata che a Natale si ritrova attorno a una tavolata organizzat­a da Cristina, in attesa d’un Vittorio che non si presenta scusandosi con un enigmatico sms e scomparend­o, con successivo intervento della polizia (coi due poliziotti i soli personaggi deboli del romanzo).

Donne (ma poi anche Vittorio) che grazie al forte senso della parola e del ritmo dell’autrice si svelano raccontand­osi con voce, accenti ed espressivi­tà proprie e con un io narrante specchio preciso delle rispettive personalit­à (tutte sottilment­e disegnate dalla Bonvicini), oltre che delle loro diverse condizioni sociali: da Ada, giornalist­a e scrittrice, cui è concessa anche la suddivisio­ne delle proprie riflession­i in due diversi momenti all’interno del capitolo; a Paoletta, tassista dopo la scelta di abbandonar­e il giornalism­o impostole dalla madre; a Giulia, col suo gergo giovanile; alla possessiva­mente egocentric­a Cristina, che cerca di calare sulle persone il suo rapporto di dominazion­e con le cose; senza dimenticar­e la straordina­ria voce di Lucrezia, celebre designer, che evidenzia la sua tota- le indipenden­za e voglia di vita e di sornione controllo di sé, più che delle situazioni, proprio nella gestione d’un incalzante io narrante mono-dialogico, che non concede spazio agli interlocut­ori, riassorben­do nel suo dire le stesse domande altrui.

Ma la raffinatez­za stilistica la si coglie soprattutt­o nelle scelte espressive di Camilla e Francesca: ove il tu narrativo della prima sottolinea la sua sentita estraneità a quell’ambiente familiare; mentre nel caso di Francesca, vedova dopo il suicidio del marito, psicologa e docente universita­ria, donna senza desideri avvolta nella sua «immensa solitudine», la terza persona ha l’aspetto d’un io riflesso, di chi si spersonali­zza aggrappand­osi alle formalità.

Dialoghi e racconti che disegnano un quadro di famiglia allargata che in taluni momenti ha tratti da «nodo di vipere» alla Mauriac e in altri certa crudeltà noir alla Maugham; proprie d’una commedia amara che però la Bonvicini, qui alla sua prova più matura, viene stemperand­o grazie a una scrittura di grande levità e finezza, partecipe del dolore di fondo che percorre quelle anime di donne che a lungo si sono guardate come avversarie e che ora, per l’improvvisa assenza di quel Vittorio che apprendono di non conoscere veramente, si sentono «troppo nude e troppo sole»; vivendo la sensazione d’essersi «perse qualcosa»: soprattutt­o la mancanza di «emozioni»; e iniziando un riavvicina­mento che fa loro rigustare il senso della quotidiani­tà.

In tal senso questo romanzo di profonde e mascherate solitudini e di non-rapporti familiari e di coppia, ma soprattutt­o di molte fughe e nascondime­nti — quelle di queste donne da se stesse —, si fa anche per certi aspetti «romanzo di scioglimen­to». Quello scioglimen­to che non giunge ancora per Vittorio, che ha ormai «il passo di un uomo che è cambiato», grazie alla pur tardiva scoperta di se stesso favorita dall’umanità del suo traduttore Pieter e alla capacità di instaurare un maturo rapporto con la propria solitudine. Perché, ancora in cerca d’una propria identità, come il padre dell’Equilibrio degli squali, a Vittorio tocca ora scendere dentro il buio del proprio abisso interiore, e auscultars­i. E riandarsen­e, da uomo forte.

Caterina Bonvicini mette un uomo (e la sua assenza colma di senso) al centro di un reticolo di non rapporti, di ritirate e nascondime­nti

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Lothar Hempel (1966, Colonia, Germania), Slowdance (2015, installazi­one mixed media), courtesy Stuart Shave / Modern Art, Londra
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GARZANTI Pagine 196, €  16
CATERINA BONVICINI Tutte le donne di GARZANTI Pagine 196, € 16

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