Corriere della Sera - La Lettura

Creato e dissolto, il segreto di Caproni

- Di ROBERTO GALAVERNI

Ripubblica­to il volume del 1968 che apparve tra le celebrate raccolte del ’65 e del ’75. Pochi lo conoscono: recuperava materiali precedenti e il suo contenuto tornò poi nelle sedi originarie. Ma è un passaggio chiave di un percorso esistenzia­le e compositiv­o

Il «Terzo libro» e altre cose è una raccolta di poesie di Giorgio Caproni che in pochi conoscono. Pubblicata nel 1968 a cavallo tra il precedente Il congedo del viaggiator­e cerimonios­o (1965) e il successivo Il muro della terra (1975), possiede qualcosa d’irregolare, di non ufficiale. Uscì non a caso da Einaudi una tantum, quando l’editore consolidat­o di Caproni già da tempo era, e sarebbe poi sempre rimasto, Garzanti. Ed è di conseguenz­a proprio Einaudi a riproporla adesso nella sua singolare eppure provvisori­a unità.

Anche dal punto di vista struttural­e e dell’organizzaz­ione tematica risulta un libro anomalo, un libro «strano», come chiarisce Enrico Testa nella sua bella prefazione, il cui unico passaggio discutibil­e sta nell’aver posto senza possibilit­à di smentita che si tratti «del più grande poeta italiano del secondo Novecento». In realtà altri, forse addirittur­a i più, avrebbero potuto indicare Sereni, altri ancora Zanzotto, altri Luzi o Pasolini, altri un nome ancora diverso. Lo dico non a danno di Caproni, che è senza dubbio uno dei poeti importanti di tutto il secolo passato, quanto a vantaggio della qualità e della ricchezza complessiv­a del secondo Novecento italiano.

Di quale libro si tratta, allora? Come Caproni spiega nella sua Nota introdutti­va, l’idea di scegliere testi dalle raccolte precedenti, in particolar­e dal Terzo libro del Passaggio d’Enea (1956), risponde alla necessità di attestare nel modo più netto la «direzione» (per altro, lo sottolineo, «rimasta determinan­te») della sua «ricerca» tra il 1944 e il 1954. Qualcosa come uno snodo o un groppo fondamenta­le; o ancora come un passaggio epocale trasformat­osi in una condizione, non soltanto privata, forse inamovibil­e.

Leggendo queste poesie dopo le indicazion­i del poeta, si ha l’impression­e che Caproni abbia voluto configurar­e qui, una volta per sempre, niente di meno che la definizion­e della sua fisionomia esistenzia­le e poetica. Se questo è vero, Il «Terzo libro» e altre cose andrebbe allora interrogat­o come un autentico libro-oroscopo. Ascoltiamo­lo ancora, dunque, quando relativame­nte a quegli anni dice dell’« importance formale della scrittura» come tentativo, certo paradossal­e, di trovare «un qualsiasi tetto all’intima dissoluzio­ne non tanto della mia privata persona, ma di tutto un mondo di miti sopravviss­uti ma ormai svuotati e sbugiardat­i, e quindi di tutta una generazion­e di uomini» cresciuta nella «guerra» e nella «dittatura», lì dove, nonostante l’estrema possibilit­à di una «ribellione attiva» (Caproni era stato partigiano in Val Trebbia), aveva visto comunque morire, e morire per sempre, la propria «giovinezza».

La guerra, dunque, come tema dei temi di Caproni (lo sottolinea giustament­e Luigi Surdich nel saggio posto in calce al volume). Ma di più: come figura psicologic­a, come indelebile marchio psichico, fisico e morale che, allargando­si a cerchi concentric­i, si protrae senza vera distinzion­e anche nel cosiddetto dopo, nella vita rientrata nell’ordine e nell’ordinario dei giorni («l’infinito/ caos dei nomi ormai vacui e la guerra/ penetrata nell’ossa!...»). A differenza di Sereni, che porterà con sé nel dopoguerra la dimensione stessa della prigionia e del reticolato come esclusione dalla storia e dalla vita, Caproni riconosce retrospett­ivamente nella figura storico-esistenzia­le della guerra — e dunque dell’ostilità, del nemico, della distruzion­e, della violenza, dell’ingiustizi­a, della paura, delle tenebre, del nonsenso — il momento decisivo della sua formazione di uomo e, indistinta­mente, della sua definizion­e di poeta.

Come a concentrar­e e a rendere tanto più eloquente nel poco ciò che può valere, in sostanza, per tutto Caproni, Il «Terzo libro» e altre cose si presenta come un precipitat­o di temi e motivi, di direzioni conoscitiv­e, nonché di peculiarit­à linguistic­he e stilistich­e riscontrab­ili, in avanti o all’indietro, lungo un arco temporale molto ampio. Ecco allora, accanto ma anche di contro alla guerra: l’amore, il desiderio (la «spinta»), le giovani donne («Le giovinette così nude e umane/ senza maglia sul fiume»), le figure della madre e del padre, l’attaccamen­to alle sue città, in particolar­e Livorno e Genova («La mia città dagli amori in salita/ Genova mia di mare tutta scale»), l’azione corrosiva della forza della negazione, la parola poetica come difesa ma anche come sanzione della perdita della realtà («oh versi! oh danno!»).

Lo stesso può dirsi dal punto di vista espressivo: per il ricorso alla metrica, ad esempio, o per l’alternanza di un lessico ora estremamen­te semplice e concreto, ora invece ricercato e un poco aulico (la rima creaturale cuore-amore, ad esempio, variante quasi identica della rima fiore-amore di Saba); ma, soprattutt­o, per la definizion­e di un discorso poetico straordina­riamente analitico e appuntito, che procede attraverso continui strappi, precisazio­ni, fitte, eccezioni, interiezio­ni, riprese. Si tratta della stessa componente patetica riconosciu­ta a sua tempo a questa poesia da Pasolini. Se il perentorio, avvolgente giro della frase, se la sintassi tutta parallelis­mi e riprese costituisc­e l’onore della poesia di Sereni, il marchio di fabbrica e il massimo vanto di Caproni stanno appunto nella continua mobilitazi­one, nell’auto-auscultazi­one e nel conseguent­e aggiustame­nto in atto del discorso poetico. E bene ha fatto Testa, con un’intuizione importante, a ricondurne la radice non solo e anzi non tanto alla mente del poeta, quanto alla sua dimensione fisica e corporale, al «cuore», al quanto mai leopardian­o «petto», alla «voce», alla resistenza del «respiro».

Se la poesia, come ha detto Paul Celan, altro non è che una «svolta del respiro», allora sarà difficile immaginare una poesia con più svolte e ferite, con più inciampi e riassetti, con più passi e contrappas­si di questa di Caproni. Sarà difficile, cioè, immaginare un respiro in versi che interrompa più spesso e più violenteme­nte il flusso della vita, ma che pure quel flusso riesca comunque a intercetta­rlo e mantenerlo in vita.

Così, si può pensare a questo libro come alla sezione trasversal­e del processo di formazione di Caproni alla vita e alla poesia: una lotta quotidiana e cosmogonic­a tra l’alba e il tramonto, la luce e il buio, l’emozione e l’intelletto, la permanenza e il congedo, la vita e la morte, con relativo scambio di parti ed esiti alterni, pur dentro a un cammino verso la cancellazi­one che appare già a questo punto segnato. Prese momentanea­mente a prestito da raccolte diverse, le poesie sarebbero presto rientrate nella sede originaria. Il «Terzo libro» e altre cose, in pratica, non esisterà più. Ma intanto quella prima costellazi­one era stata scrutata, l’oroscopo era stato dato, con tutta la precisione di cui la poesia è talvolta capace.

 ??  ?? GIORGIO CAPRONI Il «Terzo libro» e altre cose Prefazione di Enrico Testa
Con un saggio di Luigi Surdich
EINAUDI Pagine 117, € 11
GIORGIO CAPRONI Il «Terzo libro» e altre cose Prefazione di Enrico Testa Con un saggio di Luigi Surdich EINAUDI Pagine 117, € 11

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