Corriere della Sera - La Lettura
Patate bollite, cioè corpi astrali
L’inverno secondo il piemontese Remigio Bertolino
L’inverno: di quanta poesia si è fatto complice. Pensiamo ad esempio al Viaggio d’inverno di Attilio Bertolucci, alle riflessioni sul tema di Remo Pagnanelli, al gelo persistente di Fabio Pusterla. Tra i possibili punti di vista sulla stagione del ghiaccio e dell’immobilità c’è l’inverno come dono, come incantamento e sortilegio: è ciò di cui parla, in versi scavati e incisi nel suo dialetto piemontese d’altura (quello di Montaldo di Mondovì), Remigio Bertolino.
Questo suo libro, Litre d’ënvern. Lettere d’inverno, fatto di ante, di gruppi di figure, di lampi di storie è anche una sorta di libro d’ore. Le creature che evoca — chierici, madri che piangono i figli straziati da una guerra, fanciulli in attesa, animali — sembrano giungere da una lontananza, accennare a storie remote: la poesia romanza delle origini (quando si parla dell’«amore di lontano»), Villon, fino ad arrivare ai crepuscolari più aggraziati.
È un respiro franto eppure sonoro a legare in unità il tessuto dei testi: nella loro trama anche la metafora è ruvida e quasi palpabile. E mette in comunione, con gorghi di suono e di senso pascoliani, il piccolo e il grande, il celeste e il quotidiano: Cin sël piat / i pel ij còrp celest / dël trifole brovà («Chino sul piatto / pelo i corpi astrali / delle patate bollite»). Bertolino, osserva Giovanni Tesio nella sua nota, «scava nel segreto della lettera, delle lettere, ne estrae oro, spogliandole della loro ganga». Il sogno è quello di una poesia invernale, sì, ma fatta «tutta luce».