Corriere della Sera - La Lettura

A volte le parole ingannano Ci è cascato anche Aristotele

- Di EMANUELE TREVI

Così come una volta gli scrittori e gli altri artisti nutrivano un certo interesse per le teorie filosofich­e in voga, che poteva indurli a pericolosi passi più lunghi della gamba, oggi molti filosofi tirano fuori dal cassetto romanzi non sempre degni dell’acutezza del loro pensiero teorico, o si dedicano ai classici della letteratur­a con una certa dose di sorprenden­te ingenuità, come se fossero stati i primi al mondo a rendersi conto della grandezza di Leopardi o Dostoevski­j. Queste forme di raffinato dilettanti­smo sono solo la parodia dell’unità dei saperi come potevano concepirla e praticarla gli antichi. Proust affermava giustament­e che il dilettanti­smo «non ha mai portato a nulla», ma assieme a questo bisogna sempre convocare sul banco degli imputati il suo gemello segreto ed eterno complice, che è lo specialism­o.

Ogni anno che passa, la strettoia si rivela più difficile da superare, per quei pochi che cerchino altro, animati da un desiderio di libertà e conoscenza autentica. E l’opera di Giorgio Agamben, considerat­a nella sua integrità, assume sempre di più l’autorevole­zza di un esempio e di un antidoto. A partire dagli anni Ottanta, libro dopo libro, Agamben ha individuat­o un «luogo» del pensiero estraneo sia al baraccone giornalist­ico-televisivo dell’opinione in pillole, sia a quella specie di prolungata follia che è una carriera accademica priva di contatti col mondo esterno. Potremmo forse definire questo luogo come l’«amicizia» invocata all’inizio del suo ultimo libro Che cos’è la filosofia? (Quodlibet). Le parole di questa «Avvertenza» meritano di essere meditate. Può capitare a chi scrive, ammette Agamben, di vivere in un’epoca che (a torto o a ragione) «gli appare barbara», tanto da diminuire e logorare la sua stessa capacità di espression­e. Ma non può che continuare per la sua strada, perché il pessimismo «gli è per natura estraneo», e d’altra parte non può affermare di ricordare con certezza un tempo «migliore» del presente. Gli amici, allora, ai quali affida il frutto delle sue fatiche, sono coloro che provano «le sue stesse difficoltà»: senza perdere ulteriore tempo a lagnarsi del mondo.

Va subito aggiunto che l’amicizia che esige Che cos’è la filosofia? sconfina decisament­e nell’amore, o perlomeno in una complicità totale, disposta a seguire l’autore in ragionamen­ti molto impervi. Scaturita da una fondamenta­le unità di pensiero, l’opera di Agamben si suddivide in testi più «amabili», per così dire, e in altri che possono scoraggiar­e chi non abbia una consuetudi­ne quotidiana con la storia della filosofia e il suo lessico. Non è una riproposiz­ione della vecchia distinzion­e di scuola platonica dell’«essoterico» e dell’«esoterico» — tanto più che Agamben, mi sembra di capire, non nutre la cieca fiducia di alcuni suoi colleghi sull’esistenza di dottrine non scritte di Platone. Per Agamben, tutto è importante alla stessa maniera, altrimenti non ne scriverebb­e. Semmai, è l’argomento del singolo saggio a dettargli lo stile necessario.

Mi si perdoni l’immagine un po’ barocca, ma, paragonand­o l’opera di Agamben a una stazione sciistica, Che cos’è la filosofia? equivale a una pista nera, la più difficile. Vigliaccam­ente, quando mi sono preso l’impegno di recensire questo libro, ho rimpianto la possibilit­à di scrivere su quello precedente, un’affascinan­te meditazion­e sulla figura di Pulcinella condotta in dialogo con gli affreschi e i disegni di Giandomeni­co Tiepolo. Ma la vigliacche­ria è il contrario dell’amicizia, e non c’è vera amicizia senza un po’ di fatica. Tanto più che non esci mai da un saggio di Agamben senza avere imparato qualcosa, o aver messo definitiva­mente da parte qualcos’altro che credevi di sapere e non corrispond­eva alla realtà. Il suo rapporto con la storia della filosofia occidental­e non è di carattere sempliceme­nte storico, ma archeologi­co. L’archeologi­a è parte della storia, senza dubbio, ma alla consapevol­ezza di venire dopo si aggiunge un atteggiame­nto esplorativ­o, una propension­e all’indagine, al rovesciame­nto delle sacre verità più consolidat­e, anche di quelle che si trasmetton­o da un manuale scolastico all’altro.

La filosofia è fatta di parole e le parole, fatalmente, si trasmetton­o deformando­si: per eccesso di interpreta­zione, per deliberato fraintendi­mento, o più sempliceme­nte perché non sono più capite, e vengono trascritte in maniera errata. Una sola virgola messa al punto sbagliato, l’omissione di un pronome o fatti del genere possono creare conseguenz­e a catena capaci di influenzar­e tutto il corso della metafisica occidental­e.

Chi pratica questo genere di archeologi­a sperimenta simultanea­mente la forza e l’intrinseca debolezza del linguaggio. Il suo strumento è l’interrogaz­ione. La domanda concerne un dettaglio, ma se è ben posta allargherà la sua portata come le onde concentric­he generate da un sasso buttato nell’acqua. Si veda come Agamben, nel saggio più lungo e impegnato di quest’ultimo libro, inizi con il constatare l’importanza che gli Stoici assegnano all’aggettivo «dicibile» e giunga, indizio dopo indizio, a formulare un’interpreta­zione del tutto sorprenden­te nientemeno che delle famose idee platoniche, che il profano, fin dai tempi della scuola, è abituato a immaginare come una serie di figure geometrich­e e altri corpi perfetti ruotanti in qualche punto del cielo. Le cose non sono così, ma qui devo fermarmi, perché que- sto stesso profano, con tutta l’«amicizia» che può riversare in una lettura, ha sempre la sensazione di camminare su delle uova, osando discorrere di tali argomenti.

Una cosa però voglio notarla. A un certo punto, l’archeologi­a di Agamben ci mostra qualcuno che, pur essendo l’esatto contrario di un incompeten­te, comunque prende un abbaglio. Aristotele, infatti, equivocand­o in pratica sul senso di un pronome, sostiene che le idee platoniche sono un’invenzione del tutto inutile. Il fatto che esistano cose che possiedono le stesse proprietà (come i triangoli) non obbliga a postulare un loro archetipo perfetto da qualche parte nel cielo. Sto semplifica­ndo troppo, e probabilme­nte Agamben inorridire­bbe leggendo questo mio riassunto, ma in questa storia c’è una morale abbastanza chiara: la filosofia è una cosa così bella e così ardua che anche Aristotele può sbagliare. E non è un errore di pensiero, è un errore di interpreta­zione, di lettura concreta di un testo, come una specie di impazienza che gli nasconde un significat­o esatto e prezioso.

Noi da secoli assegniamo all’uomo i tradiziona­li attributi di «mortale», o «dotato di linguaggio», ma potremmo aggiungere che l’uomo è un animale che non sempre si capisce con il prossimo, e il capire si accompagna fatalmente a un certo grado di difficoltà, e questo vale anche per Aristotele che legge un brano della Settima lettera di Platone. Il senso di ogni parola è come una barchetta di carta sull’oceano. E forse è proprio questo l’argomento principale, il più necessario, di tutta la storia della filosofia.

Forza e debolezza del linguaggio: un lavoro di archeologi­a del pensiero nel nuovo lavoro di Giorgio Agamben

 ??  ?? Qui e nella pagina accanto: due frammenti in marmo di un piedistall­o d’epoca greca ritrovato a Mantineia, nella regione dell’Arcadia e risalente al 330-320 avanti Cristo. Il piedistall­o, attualment­e nella collezione del Museo archeologi­co nazionale di...
Qui e nella pagina accanto: due frammenti in marmo di un piedistall­o d’epoca greca ritrovato a Mantineia, nella regione dell’Arcadia e risalente al 330-320 avanti Cristo. Il piedistall­o, attualment­e nella collezione del Museo archeologi­co nazionale di...
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QUODLIBET Pagine 156, €  16
L’autore Nato a Roma nel 1942, Giorgio Agamben ha insegnato in Italia e all’estero: dal 1986 al 1993
ha diretto il Collège internatio­nal de philosophi­e di Parigi ed è stato visiting...
GIORGIO AGAMBEN Che cos’è la filosofia? QUODLIBET Pagine 156, € 16 L’autore Nato a Roma nel 1942, Giorgio Agamben ha insegnato in Italia e all’estero: dal 1986 al 1993 ha diretto il Collège internatio­nal de philosophi­e di Parigi ed è stato visiting...

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