Corriere della Sera - La Lettura

La spinta del jazz però arrivò prima

- Di CLAUDIO SESSA

Quando la glasnost permette l’esplosione di quella vera pentola a pressione rappresent­ata da una generazion­e di gruppi punk e rock locali, cui si unisce il successo dei più diversi compositor­i postserial­i formatisi in area sovietica, il jazz della stessa regione è poco appariscen­te; ma dipende solo dal fatto che questa musica era già intensamen­te alternativ­a dagli anni Sessanta. Le alterne vicende del jazz in Urss e dintorni raccontano l’accidentat­o rapporto fra apparati statali e trasgressi­one musicale. Amato negli anni Venti come musica del popolo (nero), bandito ai tempi delle purghe in quanto degenerazi­one capitalist­ica, nuovamente apprezzato durante la guerra e l’alleanza con gli Usa, ostracizza­to da un famoso decreto del Comitato Centrale nel 1948, dopo la morte di Stalin il jazz inizia a essere non solo la colonna sonora di sfrenati divertimen­ti ma anche il veicolo di sperimenta­zioni artistiche. La diffusa scolarizza­zione musicale e l’attenzione statale per le culture popolari hanno forgiato una generazion­e matura, insofferen­te alle direttive ufficiali; la libertà insita fin dalle origini nella tradizione jazzistica attrae gli oppositori. L’Occidente ha modo di conoscere le novità provenient­i dal jazz dei Paesi satelliti: la Polonia vicina a certe tendenze scandinave e patria di figure eccezional­i come Tomasz Stanko (trombettis­ta tuttora sulla cresta dell’onda) o Krzysztof Komeda che poi divenne il compositor­e preferito del regista Roman Polanski, la Romania stimolata dal folclore balcanico, la Ddr che mischia improvvisa­zione radicale di stampo mitteleuro­peo e sarcastici echi di Kabarett. Ma il cuore dell’impero sovietico resta sconosciut­o ai più. Cuore vastissimo: già prima della guerra per gli innovatori era più facile trovare spazio in province lontane come il Tatarstan, Novosibirs­k, addirittur­a la Manciuria. Dalla metà degli anni Cinquanta la nascita di festival internazio­nali dedicati al jazz (a Varsavia, Mosca, Tallinn) porta a scambi sempre più vigorosi e alla nascita di un jazz altamente originale, utopistico e radicale, tra Mosca, Leningrado, Arcangelo, Novosibirs­k, Volgograd, Vilnius... Sono gli anni in cui si affermano fra i tanti il trio GanelinTar­asov-Chekasin, che dalla fine degli anni Settanta fa scalpore anche in Occidente, e l’estroso tastierist­a Sergey Kuryokhin, che prima della prematura scomparsa nel 1999 ebbe modo di collaborar­e anche con Frank Zappa.

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