Corriere della Sera - La Lettura

Ian McEwan tifa contro la Brexit e si rifugia nel Guscio di noce

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«Diciotto mesi. No, meno: 15. L’ho mandato all’editore un paio di settimane fa».

Lunghezza?

«È abbastanza breve. Diciamo 45 mila parole. Sul modello di Chesil Beach e di La ballata di Adam Henry. Si può leggere in tre o quattro ore».

Quando finisce un libro ha voglia di parlarne?

«In realtà mi sta già svanendo dentro. È già morto. Anche se è così diverso dagli altri. Rompe con tutte le mie precedenti abitudini narrative. Per questo ho detto che può essere considerat­o un crimine».

In che senso?

«Non sono ancora pronto a parlarne. Posso dire da dove viene il titolo: Guscio di noce. Amleto dice che potrebbe essere confinato in un guscio di noce e tuttavia ritenersi il re di uno spazio infinito, se non fosse per i suoi brutti sogni. Ecco, questo guscio di noce è qualcosa in cui tutti possiamo ritrovarci».

L’ha scritto in questa casa?

«Anche. Ma principalm­ente in campagna».

Abitudini di scrittura?

«Sono caotico. Ma concentrat­o. Se le cose vanno bene, scrivo tutto il giorno. Mi fermo solo per i pasti. Scrivo fino a tardi la sera, ogni tanto lavoro la notte. Forse il tempo migliore è il mattino. Ma se le cose filano, vai avanti: sarebbe da pazzi smettere».

Riscrive spesso?

«Riscrivo sempre il lavoro del giorno prima. Il venerdì riscrivo il giovedì. Un lavoro costante, costante. Quando c’è un tutto, allora puoi cominciare a pensare alle bozze. La prima è stata riscritta durante il cammino, quella che ho mandato ieri a un amico perché gli dia un’occhiata è la sesta. Quando do le bozze all’editore dico sempre: è la penultima».

Il «Guscio di noce» s’intona con l’anniversar­io dei 400 anni della morte di Shakespear­e. Quanto è vera la sua presenza nel nostro mondo?

«Di Shakespear­e non ci si libera. Parliamo della più grande immaginazi­one letteraria della storia».

Opera preferita?

«Ho pensato molto ad Amleto. Probabilme­nte è il più straordina­rio personaggi­o di fiction mai immaginato. E per chi scrive in lingua inglese, è il porto al quale sono ancorate le nostre navi».

Amleto e l’amore. Ne parlerà tra i suoi naufragi?

«No. Vede la foto sulla parete alle sue spalle? Ofelia e Amleto, interpreta­to da Jonathan Pryce. Lei gli sta ridando la famosa lettera, lui dice, e subito dopo nega, di amarla. Amleto ama Ofelia? È una questione aperta, ma io dico di no. È troppo pieno di rabbia per amarla».

McEwan si è mai sentito in una situazione simile?

«L’ira rende l’amore molto difficile. Personalme­nte starei molto attento se qualcuno sostenesse che ira e amore possono andare insieme. Credo che non potrei innamorarm­i di qualcuno così. No, la vita è troppo breve. Ho bisogno di un po’ di pace».

La pace amorosa può essere noiosa.

«Sì, ma la pace è uno spazio che si può riempire con diverse cose. Con la noia. Ma anche con l’entusiasmo, l’eccitazion­e.».

Che cosa sta leggendo?

«Cinque cose alla volta. Ho appena finito una nuova biografia di Napoleone. Tutto lo scorso autunno siamo stati a Parigi. Ho letto molto su Napoleone».

Perché?

«Come perché? Parigi è piena delle sue immagini. È ancora una presenza. E combattere i francesi per 150 anni ha formato la mentalità britannica. Altro che Germania nazista. È soprattutt­o il confronto con la Francia a definire la nostra identità. Per molto tempo abbiamo creduto di avere un complesso di inferiorit­à anche sul cibo. Negli ultimi anni ce lo siamo scrollati di dosso. Non abbiamo ancora raggiunto voi italiani, ma sicurament­e i francesi sì. Con l’Italia nessuno ci è riuscito: perché voi avete mantenuto la magia della cucina locale, che la maggior parte della Francia e sicurament­e la Gran Bretagna hanno perso a causa della globalizza­zione».

La Brexit?

«Spero molto che non ce ne andremo, ma è possibile che questo accada. Non è una buona idea chiedere alla gente di pronunciar­si su temi come questi. Qualcuno mi darà dell’antidemocr­atico. Ma facciamo forse un referendum sulla pena di morte?».

Lei sostiene che la buona letteratur­a è sempre locale o regionale. Questo implica che la letteratur­a non può favorire l’integrazio­ne europea?

«Non siamo così insulari come un tempo. Ci appassiona Elena Ferrante. E la morte di Umberto Eco è stata la seconda notizia della Bbc. Ma nel pantheon io tengo Milton, Wordsworth, John Keats, T. S. Eliot. I miei amici francesi conoscono questi nomi, ma non li leggono. Non sono interessat­i. Loro pensano ai loro Céline e Proust. E in Italia uguale. L’unico italiano che ho incontrato che conosceva bene Eliot è stato Attilio Bertolucci. Mi portò da lui il figlio Bernardo. Passai un’ora di delizia pura».

Delizia poco condivisa: l’Europa della letteratur­a regionale è per forza disunita?

«Continuo a pensare che l’Europa, soprattutt­o quella che sta dentro i confini delineati dal Trattato di Roma, sia un tesoro che dobbiamo tenerci stretti. Cultura, politica, musica, diritti umani. Ci sono molte altre parti del mondo che hanno la stessa ricchezza? Ci succede sempre più spesso, con mia moglie e gli amici, magari durante una cena, di dirci che forse è ora di dare meno attenzioni all’estremismo islamico. Diciamo: basta, ci sono molte altre cose a cui pensare: il riscaldame­nto climatico, Mozart, l’amore, le Dolomiti, il pane svizzero che è buonissimo...».

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