Corriere della Sera - La Lettura
(o una specie di) è fatta L’hanno chiesta le voci di dentro
follia, un tormento che da quando ha 14 anni gli fa sentire le voci, soffrire di allucinazioni, nutrire «tante paure di avere commesso chissà quali errori, quali delitti».
Cercare l’uomo che è stato lo porta a trovare le persone che ha amato, la madre Giuditta («era la donna della mia vita, le altre sono malvagie, senza cuore, brave a deridermi») che parla, attraverso le parole del figlio in un doppio discorso indiretto. Il narratore racconta Ulisse che racconta la madre, prima di cedere, nella parte più potente del romanzo, la parola a Nerina. La narrazione diventa un dialogo tra fratello e sorella, i lumini accesi ai morti sulla mensola del camino sembrano convocare Nerina che, fuori, nella neve, gli dice che non ha mai dimenticato, che i ricordi le battono in testa, che rivive quei momenti, ancora e ancora: «E dal momento che te Ulisse non t’hanno trovato, hanno portato via me...E m’hanno presa me e nostra madre l’hanno fermata sull’uscio con il calcio del fucile. Poi hanno buttato benzina da una tanica t ut to i ntor no a l l a baita, al f i enile, e chiuse dentro le bestie col catenaccio, hanno dato fuoco...».
Anche Giuditta, co me i l f i g l i o, ha conosci uto « quel malanno lì», la debolezza dei nervi, l’esaurimento (la depressione diremmo oggi), una tara famigliare «che diversi ne sono morti, scaraventati dalla malattia in un burrone, attaccati a una corda nel fienile». Nel suo vagabondare sui camminamenti della memoria Ulisse incontra persone che vengono dal passato, un paesaggio ostile, freddo, inospitale fa da specchio a vite di miserie e solitudine di cui nessuno ha memoria o consapevolezza. Un senso di desolazione pervade in ugual modo passato e presente: «Quando ero bambino, e quando sono cresciuto, contadino e operaio che sono stato — dice Ulisse — nei monti ho conosciuto fame e fatica, nient’altro che fame e fatica».
La lingua di Valenti è asciutta, ruvida, sempre totalmente aderente al parlato popolare dei personaggi: con Ulisse ha lampi lirici e accelerazioni rabbiose, espressione della lucida follia che lo anima; diventa pacata e rassegnata quando le parole di Giuditta ripercorrono un destino già scritto di doveri, di sottomissione, di sacrifici; si alza in picchi drammatici nel racconto di Nerina, fantasma evanescente germogliato dalla neve per dire finalmente la sua verità.
Valenti riesce a inserire una «questione privata» dentro una cornice storica convincente, dove il realismo e l’epica dei vinti (che siano contadini o classe operaia) trovano un miracoloso equilibrio.