Corriere della Sera - La Lettura
Anche l’ombrellaio ha il suo mistero
La potenza imperfetta di Maurizio Noris, nella lingua della Val Seriana
Ci sono libri di poesia geometrici e calibrati, esatti nelle loro partiture: viene in mente l’esempio della raccolta d’esordio di Valerio Magrelli, Ora serrata retinae (1980). E ci sono libri grezzi, imperfetti, eppure vivi: non c’è dubbio che Resistènse di Maurizio Noris (Interlinea) appartenga a questa seconda categoria. Non è solo questione della lingua in cui la raccolta è scritta, il dialetto bergamasco della media Valle Seriana — terragno, ruvido nella sonorità e senza una forte ipoteca letteraria — ma è l’intero modo di immaginare e di scrivere del poeta che fa dell’opera qualcosa di incom- piuto e insieme palpitante, di non ripulito e a tratti potente.
Cominciamo dal cuore del libro, perché qui ce n’è uno ben riconoscibile. È la poesia intitolata Speranza fra nóter («Speranza tra noi»), che nomina il noi, il seme della comunità: «Ol tò vis/ chèl/ impruìs/ l’è ’l post di stòrie ’nsema/ l’è paìs,/ bóca che brüsa/ e us che sa pónd» («Il tuo viso/ quello/ improvviso/ è il posto delle storie insieme/ è paese,/ bocca che brucia/ e voce che si ripone»). Si noterà intanto la vitalità metaforica e metamorfica del dettato, che anima di un brivido analogico la poesia, al di là della concretezza delle immagini. La chiusa, infine, fa chiarezza sugli intenti poetici: «I tò öcc de s-cetì/ i ma domanda/ de rimetì al mónd/ ol mónd» («I tuoi occhi di bambino/ mi chiedono/ di rimettere al mondo/ il mondo»).
Ecco svelato un possibile senso delle «resistenze» del titolo e il segreto che accende l’espressività, se non proprio l’espressionismo, di questa parola: è il tema del riconsacrare il mondo, che apparenta questa lingua poetica a quella del milanese Franco Loi, ad esempio, o a quella di un autore dialettale di ambito trevigiano come Fabio Franzin. Dietro la sugosa e talvolta spiazzante forza immaginativa, dietro l’evocata durezza della vita e della natura (per cui ogni esistenza è una resistenza), brilla infatti una possibilità remota di speranza, segretamente custodita: il «buono della storia,/ la nascosta/ tenerezza», come dice il poeta (cito d’ora in poi la versione in lingua).
Così ecco che dalla Via Crucis quotidiana delle creature, dalla piccola e continua Passione che si ripete in tutto e in tutti (anche l’ombrellaio è assimilato nel suo umile lavoro al mistero pasquale) si solleva una domanda che mira a raggiungere il cielo, un cielo forse vuoto (alla Caproni)