Corriere della Sera - La Lettura
Il romanzo della scienza
La ricerca è un’impresa infinita, la natura un libro avvincente Così trasmettere la conoscenza diventa un’opera letteraria
Nell’era degli specialismi, è essenziale tornare a capirsi. Per gli scienziati la comunicazione sta per diventare un obbligo istituzionale. I maggiori erogatori di finanziamenti internazionali chiedono ormai sempre che i proponenti di una ricerca dichiarino in anticipo quali saranno le loro strategie di comunicazione dei risultati, tecnicamente e poeticamente definita «disseminazione». L’Agenzia nazionale di valutazione della ricerca italiana (Anvur) ha da poco inserito in via sperimentale la «terza missione», cioè le attività di valorizzazione della ricerca e di produzione di beni pubblici sociali e culturali, come parametro di valutazione delle università e degli enti di ricerca. Bisogna insomma imparare a raccontare e a condividere i risultati della propria ricerca, che deve essere trasparente e contribuire all’alfabetizzazione scientifica della popolazione.
S e co ndo l ’e vo l uz i o ni s t a Ste phen J . Gould, autore di 300 brillanti «storie naturali», per comunicare la scienza ci vogliono tanto rigore e tanta fatica quanti ne servono per fare ricerca scientifica avanzata. Vero, ma come riuscirci? I ricercatori non sono per forza comunicatori nati e i mediatori non hanno sempre la preparazione adeguata. Inoltre le modalità per raccontare la scienza oggi stanno cambiando profondamente. Non regge più l’idea che chi sa debba soltanto trasmettere il proprio sapere, in versione semplificata, a chi non sa, impersonato di volta in volta dalla suocera o da un’imprecisata casalinga. Il termine «divulgazione» risente di questa concezione un po’ paternalistica della comunicazione scientifica, come se una conoscenza riservata a pochi venisse tradotta e sintetizzata per il volgo. Nei Paesi che amano gli slogan diretti si parla oggi di public engagement with science, come a dire che la scienza deve essere coinvolgente e inclusiva. Va cioè comunicata attraverso la partecipazione a un’esperienza attiva, mettendoci dentro le mani e la testa.
I risultati di questa apertura democratica del sapere scientifico sono notevoli, anche in Italia, dove la domanda di dialogo con la scienza sta crescendo. Lo provano le masse di visitatori che affollano ogni anno i festival scientifici, a Bergamo, Genova, Napoli, Perugia. Le mostre dedicate a sto- rie di scienza e di scienziati negli ultimi anni hanno fatto numeri comparabili alle grandi mostre d’arte. I musei scientifici, i science center e gli orti botanici italiani, per quanto sotto-finanziati, custodiscono tesori molto amati dal pubblico, che accorre alle iniziative organizzate in quelle sedi. Anche la saggistica scientifica su carta e in rete, ancorché seguita da una platea ristretta di lettori forti che si allarga lentamente, è sempre più ricca, finalmente con autori italiani di successo che esportiamo all’estero.
Dunque il pubblico (ma in realtà sono tanti pubblici diversi) c’è, sta cambiando ed è affamato di scienza. Per tutta risposta, le comunità scientifiche sono sempre più prodighe di narrazioni e di immagini. Oggi il romanzo della scienza si alimenta di esploratori, fotografi naturalisti, cacciatori di particelle elementari e di fossili, inventori di materiali che si pensavano impossibili, biologi che sintetizzano genomi e li impiantano nelle cellule. Si alimenta anche di video e nuovi prodotti multimediali in rete, di fantascienza che anticipa la scienza, di taccuini segreti e di autobiografie ufficiali scritte con il senno di poi, di faccende molto umane tra i banconi del laboratorio, di intrighi geopolitici, di racconti di scoperte (il pioniere incompreso, gli eterni secondi che nessuno ricorda più)