Bloom, lei sbaglia King è un profeta

Harold Bloom è la massima autorità, la Corte Suprema della letteratura. Tutti gli chiedono degli scrittori viventi ma lui sa che gli unici scrittori buoni sono quelli morti. Ci vogliono secoli per capire se un romanziere vale davvero. Sui contemporanei Bloom ha emesso da tempo le sue sentenze: favorevoli a Roth, DeLillo, Pynchon, McCarthy; sfavorevoli a Foster Wallace, Franzen e Toni Morrison. E sono verdetti giusti. Solo Stephen King, tra gli scrittori condannati da Bloom, non se lo merita. Il bazar dei brutti sogni, la raccolta dei suoi racconti migliori, contiene capolavori che potrebbero far cambiare idea a Bloom. Penso a Miglio 81, l’infernale avventura di un ragazzo e due bambini in una stazione di servizio abbandonata dell’autostrada. Penso a Una rissa per Batman e Robin, il racconto di un vecchio padre con l’Alzheimer e di un figlio (di 61 anni) che tornano a giocare per l’ultima volta a Batman e Robin, il gioco che facevano mezzo secolo prima. Penso a Morale, dove un reverendo moribondo vuole commettere, quando è ancora in tempo, un peccato per la prima volta e lo vuole commettere per interposta persona (pagando s’intende). Penso, soprattutto, a Mister Yummy, una delle più delicate e disperate storie d’amore gay mai scritte, ambientata in un ospizio per vecchi e che mette a confronto l’omosessualità degli anni Cinquanta, quando «era un modo di amare che non osava neppure chiamarsi per nome, mentre oggi non sta mai zitto», e quella ai tempi dell’Aids, quando andare in certi club era un po’ come partecipare al ballo in maschera del racconto di Poe sulla morte rossa. E credo che a Bloom piacerebbe in particolare Ur, una storia che torna a far scrivere Shakespeare e Hemingway. Gli scrittori veri per Bloom hanno qualcosa dei profeti. Tra i viventi (a parte Roth), King è l’unico che scrive come se facesse profezie. Non mi appello, come farebbe l’avvocato di una causa persa, alla clemenza della Corte, ma alla Sua infinita sapienza.

Stephen King (Portland, 1947)