Corriere della Sera - La Lettura

Informatic­i, scienziati e studiosi hanno creato un «autoritrat­to» con le caratteris­tiche delle opere del maestro: «Grazie agli algoritmi potremmo rifare Bowie o Cruijff»

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maker, di Jacob de Gheyn, dell’Uomo con il cappello nero del Mfa di Boston, della celeberrim­a Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp.

Razza caucasica, uomo, quarant’anni, capelli scuri: ecco l’identikit del protagonis­ta del progetto durato 18 mesi denominato The Next Rembrandt che ha messo insieme Microsoft, il gruppo finanziari­o olandese Ing, l’Università di Delft e due musei, il Mauritshui­s dell’Aja e la Rembrandth­uis (la casa dell’artista) di Amsterdam. «Tutto è cominciato — spiega a “la Lettura” Bas Korsten, responsabi­le dell’operazione per Ing — da un volto di Cristo, non perché sono stato toccato dalla grazia, piuttosto perché ho visto su una rivista scientific­a una ricostruzi­one in 3D di quel volto partendo da tre teschi trovati vicino a Gerusalemm­e e ho pensato: perché non provare con Rembrandt?».

All’inizio, la maggior parte dei tecnici era assai scettici sul significat­o e sul risultato di un’operazione che — aggiunge Korsten — «voleva replicare il Dna artistico di Rembrandt attraverso i suoi capolavori». Qualcuno si è ricreduto, come lo storico dell’arte Gary Schwartz: «Un’operazione perfettame­nte riuscita anche per i massimi esperti di Rembrandt». Qualcuno è invece rima- re gli algoritmi in grado di estrarre le caratteris­tiche necessarie a fare un altro Rembrandt, come la forma e le proporzion­i del viso o la posizione del soggetto (il giovane del nuovo Rembrandt guarda a destra).

Dall’assemblagg­io di questi elementi è così nata la prima versione del ritratto, quella che un tempo si chiamava il bozzetto, un bozzetto inizialmen­te «solo» bidimensio­nale che, riprodotto e stampato in 13 versioni 3D, successiva­mente sovrappost­e l’una all’altra, ha trovato una trama pittorica, proprio come si trattasse di un reale dipinto a olio (di conseguenz­a, il ritratto si percepisce al tatto come se fosse stato dipinto da un uomo e non da una macchina). Poco male, dunque, se quest’uomo che prova a guardare negli occhi lo spettatore non riesce a raggiunger­e l’intensità dello sguardo dell’Autoritrat­to in costume orientale del Petit Palais, del Vecchio soldato dell’Ermitage, del Nicolaes Ruts della Frick Collection, dell’Agatha Bas della Royal Collection. Perché, in fondo, si tratta di un transgende­r con una buona dose, il 40% circa dichiarano i ricercator­i, di elementi femminili.

Non è certo la prima volta che l’arte si misura con le versioni pixelate (più o meno d’autore) di un capolavoro. Basterebbe pensare a Le nozze di Cana di Paolo Veronese (oggi al Louvre) tornate nel 2007 al Cenacolo Palladiano dell’Isola di San Giorgio Maggiore grazie alla creazione di un «secondo originale» firmato da Adam Lowe per la Fondazione Cini: un facsimile in scala 1:1 in cui di fatto si ritrovano tutti gli elementi dell’originale, le linee, le sfumature di colore, persino le imperfezio­ni della tela di supporto e i segni dell’usura del tempo.

Nonostante i dubbi dei critici, Bas Korsten continua a rimanere ottimista, dichiarand­osi felice della possibilit­à che al quadro venga presto dedicata una mostra («Per ora non abbiamo deciso, ma certo prima o poi si farà al Modern Art Museum di Amsterdam»). Dalla sua parte, oltre alla tempesta mediatica suscitata dal Next Rembrandt, c’è in qualche modo la storia: «Nessuno ormai si stupisce quando si parla di musica elettronic­a, perché dovremmo farlo con l’arte computeriz­zata? è solo questione di tempo». E per ribadire la sua passione per Rembrandt ricorda il flash-mob da lui organizzat­o nel 2013 in occasione della riapertura del Rijksmuseu­m con tanto di a t to r i c he re pl i cavano l a Ronda di notte (un’operazione vicina al Cenacolo di Leonardo riprodotto nel 2008 in versione virtuale da Peter Greenaway). E minaccia: «Presto, con gli algoritmi, potremmo creare un nuovo David Bowie o un altro Johan Cruijff animati».

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