Corriere della Sera - La Lettura
Santa Caterina finalmente ha un padre. Certo
Il dipinto, protagonista a Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli, negli anni è stato assegnato a Pacecco de Rosa, quindi a Onofrio Palumbo, poi al Maestro della Madonna Cellini. Ora lo studioso Giuseppe Porzio non ha dubbi: «È di Giovanni Ricca»
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La storia di certi dipinti antichi può condurre a tanti autori. Eppure la mano che li ha realizzati è una sola. In mancanza di documenti o fonti d’archivio, le attribuzioni sono figlie di confronti stilistici, sagaci intuizioni ma anche di errori, redatti in buona o cattiva fede dagli storici dell’arte. Dibattiti e incertezze da sempre hanno promosso gli studi e, come in questo caso, dato origine a mostre. La piccola rassegna che ruota attorn o a l l a mi s te r i o s a S a n t a Ca t e r i n a d’Alessandria di Palazzo Madama a Torino, presentata a Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli nella mostra Intorno alla Santa Caterina di Giovanni Ricca: Ribera e la sua cerchia a Napoli, è un ottimo esempio di quanto sia affascinante il continuo incedere della critica nella storia della pittura antica.
Pur riconoscendo che gran parte dell’interesse per l’opera in questione sia legata soprattutto al fatto che provenga da una non meglio definita Collezione Giulio Einaudi, è certo che, dopo diversi passaggi di mercato, è stata acquistata da Palazzo Madama nel 2006 con attribuzione a Bartolomeo Bassante, dopo essere stata assegnata dapprima a Pacecco de Rosa, quindi a Onofrio Palumbo e ancora al Maestro della Madonna Cellini. Ora, in seguito agli studi di Giuseppe Porzio, la Santa Caterina ha finalmente avuto corretta paternità ed è grazie a lei che è stata trovata occasione per alzare il sipario su Giovanni Ricca (1603-1656?), poco celebrato pittore napoletano che da ora siede al suo corretto posto tra i più blasonati colleghi dell’epoca.
Perseguendo con costanza la ricerca di rilevanti tracce archivistiche, la personalità di Ricca, rimasta sinora dietro le quinte del sontuoso palcoscenico partenopeo tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, è riemersa con un catalogo di alcune decine di opere, delle quali ben nove sono presentate in mostra.
Tra queste la solenne Trasfigurazione, la prima sua tela documentata e non solitamente fruibile in quanto custodita in Prefettura, e la splendida Giuditta con la testa di Oloferne del Museo Diocesano di Salerno.
Accanto alle opere di Ricca, Porzio ha selezionato alcuni notevoli lavori di arti- sti come Ribera, Francesco Guarino, Hendrick De Somer, Matthias Stom e il Maestro degli Annunci ai pastori, autori ai quali furono nel tempo attribuiti i suoi dipinti e che aiutano a comprendere il percorso con il quale è giunto a definire non solo la paternità della Santa Caterina, ma anche dell’intero corpus pittorico del Ricca.
Il dipinto su cui si fonda la ricostruzione dell’artista è la piccola icona dedicata a sant’Elisabetta d’Ungheria e santa Francesca Romana, realizzata per la famiglia Orsini per la chiesa di Santa Maria in Portico a Napoli e ricordata in un pagamento del 1634. La puntualità del dato cronologico e l’identità della commissione svelano la genesi delle ben note affinità stilistiche tra l’artista e Francesco Guarino, pittore che sappiamo essere stato strettamente legato agli Orsini.
Nella totale assenza di altri dati documentari relativi alle opere, se si esclude la ritrovata firma sulla luminosa Adorazione dei pastori di Potenza, il catalogo di Ricca si avvale dunque essenzialmente di confronti pittorici. Ecco allora che la presenza in mostra di due opere di Ribera, e in particolare della superba Maddalena penitente di Capodimonte, si rivela fondamentale. Quest’ultimo dipinto, in evidente connessione c o n l a Ma d d a l e n a d e l monumentale Calvario dipinto per la duchessa di Osuna e con La deposizione di Cristo della National Gallery di Londra, è uno dei più noti dipinti del primo periodo di Ribera a Napoli ed è certo stato un punto di riferimento per la nutrita schiera di figure di donna a mezzo busto del Ricca.
Il colore livido e perlaceo della pelle, la cromia e il segno quasi grafico della capigliatura fulva diventano un marchio di fabbrica del Ricca che insiste quasi con ossessione su questi volti patetici, colti di profilo come per sfuggire all’emozione dello sguardo diretto.
I passaggi a Napoli di Caravaggio nel 1606 e nel 1609, e quindi l’arrivo di Ribera nel 1616, determinano una svolta nella pittura locale. Mentre lo Spagnoletto conquista la nobiltà e l’aristocrazia spagnola, realizzando per loro innumerevoli capolavori, i giovani artisti che frequentano la sua bottega imparano a gestire luci e ombre per trasmettere le crudezze del naturalismo ma anche emozioni e sentimenti, mentre quando intingono i pennelli nella ricca tavolozza della sua maturità ripensano il caravaggismo in maniera più classica.
Accanto alla riscoperta di Ricca, le sale di Palazzo Zevallos offrono anche una bella panoramica su Hendrick De Somer, detto Enrico Fiammingo, tra i discepoli più apprezzati di Ribera e spesso scambiato con Ricca. Inoltre, la presentazione del suo imponente Battesimo, caposaldo del suo percorso stilistico in quanto firmato e datato e anch’esso normalmente custodito in prefettura, consente a visitatori e studiosi di cogliere le differenze più intime e precipue tra i due maestri.