Corriere della Sera - La Lettura
Gente che passa di lì e professionisti: vi farò cantare in coro a migliaia nelle piazze
Michael Gohl dirigerà anche il pubblico nel doppio evento con «Va’ pensiero» e altro. «Farlo insieme è felicità»
Eallora, tutti insieme: si canta. Coristi professionali, dilettanti, appassionati, gente che passa di lì. Questo sarà il culmine di Mito, sia a Milano (il 10 settembre) sia a Torino (l’11): un grande coro che celebrerà il piacere di ascoltare e fare musica, in altre parole condividerla. Un gesto pubblico forse inusuale per noi italiani che stiamo perdendo il gusto di cantare insieme e che abbiamo relegato la pratica della musica in spazi sempre più angusti della nostra esistenza.
Il festival milanese-torinese avrà dunque un evento, ripetuto nelle due città, di open singing, una sessione di canto guidato alla quale sono invitati a unirsi quanti più partecipanti possibile. Il direttore artistico Nicola Campogrande come compositore ha f a t to del coi nvol gi mento di re t to degli ascoltatori uno dei suoi riferimenti estetici (fino al culmine del Concerto per pubblico e orchestra, eseguito a Parigi e Milano, in cartellone a Francoforte e L’Aquila) e il duplice happening del «suo» festival vorrà certificare proprio l’abbattimento dei confini fra spazio urbano e ascolto, fra metropoli e musica.
Non sono state ancora decise le location. Per il capoluogo lombardo potrebbe trattarsi di piazza del Duomo o altro (non piazza Gae Aulenti, troppo piccola per le migliaia di cantori attesi); per Torino, già teatro di un’analoga performance nel 2012 per la rassegna Europa Cantat, si ipotizza piazza Castello. Certo è che a guidare il doppio concerto finale sarà il maestro svizzero Michael Gohl, considerato fra i migliori, se non il migliore, a condurre sessioni di open singing. Sessioni che — precisa lui — devono essere momenti in cui la musica non viene tradita «ma rispettata nel suo spirito, nella struttura, nell’armonia, anche se sono coinvolte persone comuni, che magari hanno perso l’abitudine a cantare», spiega a «la Lettura». I parametri di giudizio non saranno quelli di un’esecuzione professionale «ma neanche l’esecutore più sofisticato lascerebbe la stanza se sentisse una famiglia, dai figli ai nonni agli zii, cantare insieme, con felicità, Stille Nacht sotto l’albero di Natale...».
Clarinettista, direttore di coro, didatta, Gohl ha dedicato all’open singing anche un manuale. «Se sai parlare — dice — puoi anche cantare». Spontaneità tuttavia non significa improvvisazione: perché l’open sin- ging abbia successo occorre il concorso di diverse condizioni, tra le quali «la scelta di un repertorio in buona parte noto ai partecipanti, il ruolo di un coro-guida che solleciti i cantanti estemporanei, la capacità del direttore di entrare in sintonia col pubblico-performer, la chiarezza del suo gesto, possibilmente la presenza di un pianista». Non c’è limite al numero di partecipanti, «a Torino nel 2012 in Piazza San Carlo eravamo in 6 o 7 mila, credo. Occorre però — ag- giunge il musicista elvetico — che l’acustica sia buona, anche se non necessariamente quella di una sala da concerto o una chiesa: perché il pubblico sia coinvolto e si metta a cantare con piacere, deve sentirsi immerso nel suono». E poi: rispetto dell’audience. «Il contatto va perseguito in modo non stupido. Chiedere: “Siete qui? Siete pronti?” come fanno le popstar nei loro show non serve a nulla».
Decisiva l’empatia che deve instaurarsi tra direttore, coro-guida e pubblico. Che deve abbandonarsi al cantare insieme. Open singing come pratica musicale dove il piacere dell’esecutore e del pubblico di fatto coincidono, dove anche i loro ruoli si scambiano e si confondono, dunque? «Sì. Ci sono studi, come quello dei tedeschi Tobias Esch, Gerald Hüther e Gunter Kreutz al quale mi piace fare riferimento, che esplorano la “felicità” sul piano neurobiologico, psicologico e ormonale, e la felicità più profonda e durevole è quella che implica una fusione col tutto. L’open singing a questo vuole arrivare».
Gohl, dunque, sceglie di volta in volta brani che risultano o possono risultare familiari ai performer, «in Italia penso a Signore delle cime, una pagina bellissima» di Bepi De Marzi. E soprattutto dal repertorio classico («anche se ci sono straordinari brani pop, dai Beatles a Freddie Mercury»). Ma «è essenziale una drammaturgia del programma», alternando i pezzi già nell’orecchio e quelli sconosciuti, pagine semplici e altre più impegnative, «perché superare le difficoltà dà grande soddisfazione anche nel caso del cantore improvvisato».
Così accadrà anche per Mito, dove il Coro giovanile d’Italia farà da guida all’interno di una compagine di cori «per un migliaio di voci complessive», che a sua volta guiderà il pubblico cantante. «Partiremo da song che chiamo “assaggini”: un breve canone del rinascimentale Michael Praetorius, di grande effetto», poi un tocco jazz, un Mozart a più parti «non tanto facile» e altro ancora, attraverso il Coro delle zingarelle (da La traviata), l’Ave Maris Stella di Grieg, il celebre O Fortuna dai Carmina Burana di Carl Orff, per chiudere col Va’ pensiero. Il pubblico alla fine dovrà applaudire se stesso: «L’open singing ha successo quando tutti sono felici di cantare insieme».