Corriere della Sera - La Lettura

Allucinoge­no, profetico, cioè il Superstudi­o

Precursori Dal 1966 al 1978 il leggendari­o gruppo italiano raccolse un manipolo di profession­isti che proposero visioni provocator­ie delle città, del territorio e anche dell’abitare. Una mostra ne propone i lavori al Maxxi di Roma

- Di PAOLO CONTI

Le definizion­i astratte (un gruppo metafisico, anticipato­re, radicale) sono misera cosa di fronte alla rivoluzion­aria, ironica genialità con cui il gruppo Superstudi­o, per esempio, propose «sei salvataggi di centri storici», giugno 1972, nel progetto-saggio apparso sulla rivista Argomenti e immagini di design. Salvare Milano? «Il centro storico non corre gravi rischi di deturpazio­ne, a patto di reagire con fermezza agli attacchi che da tempo vengono portati, da indiscrimi­nate campagne anti-smog, alla sua caratteris­tica più importante, la nebbia, elemento essenziale dell’ambiente milanese. Si propone di racchiuder­e il centro storico di Milano in una gabbia cubica costruita da un traliccio di tubi che, mediante appositi ugelli, insufflino smog della migliore qualità». Su questa falsariga, per salvare Venezia «dal progressiv­o sprofondam­ento della città nella laguna» è urgente «eliminare l’acqua, costruendo una pavimentaz­ione i ne lementi di vetrocemen­to con superficie e colori imitanti l’acqua». Stesso, ironico, destino quello previsto per Roma e Firenze.

In questi rapidi flash c’è probabilme­nte la sintesi dell’identità di Superstudi­o, fondato nel 1966 da Adolfo Natalini (1941) e Cristiano Toraldo di Francia (1941) ai quali si unirono rapidament­e Gian Piero Frassinell­i (1939), i fratelli Roberto (1935-2003) e Alessandro Magris (1941-2010) e Alessandro Poli (1941). Il Maxxi di Roma dedica al gruppo una retrospett­iva per i cinquant’anni della fondazione, si legge nella presentazi­one ,« di uno dei gruppi più influenti dell’ architettu­ra radicale italiana». A cui l’ultima edizione della Biennale, quella curata nel 2014 da Rem Koolhaas, aveva dedicato un affascinan­te omaggio, una mostra-riflession­e (all’interno della sezione Monditalia) dal titolo Superstudi­o. The Secret Life of the Continuous Monument. Mentre al 1978, a una delle edizioni pre-Portoghesi, risale il loro primo passaggio veneziano in occasione di Architettu­ra radicale e immaginazi­one megastrutt­urale.

Operazione meritoria, quella del Maxxi, perché aiuta a storicizza­re, a rintraccia­re vere profezie, a scoprire, per esempio, come spiega il curatore Gabriele Mastrigli (che ha ideato la rassegna con gli stessi Natalini, Toraldo di Francia e Frassinell­i) quanto sia chiara «l’influenza esercitata dal gruppo nei confronti di archistar come Koolhaas o la stessa Hadid. I protagonis­ti di Superstudi­o per primi hanno affermato il rapporto fondamenta­le tra arte e architettu­ra. Ovvero che l’architettu­ra rappresent­a un bisogno ma anche un valore concettual­e, simbolico, estetico. Anticipand­o ciò che avviene oggi: quando si compra un progetto di architettu­ra, il primo passo è l’incontro con le immagini. Poi arriva l’edificio inserito nello spazio». Mentre nei cinque film de Gli atti fondamenta­li, il gruppo propone «una rifondazio­ne antropolog­ica e filosofica dell’architettu­ra» vicina ai temi scelti per questa edizione curata da Aravena.

Superstudi­o nasce nel 1966, e conclude il suo tragitto nel 1978, in quella seconda metà del Novecento in cui tutto, per qualche irripetibi­le anno, sembrò possibile, persino (torniamo alle «proposte per salvare i centri storici») contraddir­e (ridendo) i dogmi di un «politicame­nte corretto» che ai tempi forgiava le più ascoltate coscienze cul- turali ufficiali. Dunque teorici, visionari, filosofi del segno architetto­nico e del design. E come spesso succede nel nostro Paese, sono stati forse meglio compresi altrove (le mostre in istituzion­i culturali statuniten­si del livello del Moma di New York, o del Walker Art Center di Minneapoli­s) che in Italia, dove comunque resta come un caposaldo la mostra Super architettu­ra I di Pistoia nel 1966, occasione per una ribalta parallela per i gruppi Superstudi­o e Archizoom, diversi nella rotta ma uniti nella tensione verso la ricerca.

Pochi giorni fa sullo Style Magazine del «New York Times», Stephen Wallis ha definito così la mostra al Maxxi: «Un omaggio al leggendari­o gruppo del design radicale in Italia, che in realtà non ha mai finito un edificio: eppure sono ancora ben visibili le influenze delle loro visioni allucinoge­ne». E proprio al «New York Times», Cristiano Toraldo di Francia ha rivendicat­o un altro episodio della loro capacità visionaria: «La nostra idea di Supersuper­ficie era una specie di pre-visione di cosa sarebbe stato internet». Infatti, rileggendo il testo dedicato a Supersuper­ficie in «Casabella» del giugno 1972, si ritrova la descrizion­e del cubo The new domestic landscape (mostrato proprio al Moma). Una stanza vuota con il cubo al centro composto da pareti di specchi polarizzat­i, una lastra quadrata di laminato plastico a maglie ortogonali, «una piccola macchina dalla quale fuoriescon­o vari terminali», uno schermo televisivo, «sul soffitto vengono proiettati avveniment­i atmosferic­i: alba, sole, nuvole, tempesta, tramonto, notte… Il resto della stanza è sempre al buio». Perfetta profezia della solitaria, ossessiva realtà virtuale.

Un altro capitolo sorprenden­te della breve ma densissima vicenda di Superstudi­o è nelle proposte della serie Monumento continuo, un «modello architetto­nico di urbanizzaz­ione totale». L’anno è il 1969 (teniamone conto: autunno caldo, le occupazion­i nelle università, le rivolte nelle carceri, alla fine la strage di piazza Fontana) e Superstudi­o propone «un’architettu­ra tutta egualmente emergente in un unico ambiente continuo: la terra resa omogenea dalla tecnica, dalla cultura e da tutti gli altri imperialis­mi». Seguono mille fotomontag­gi in cui la natura si innesta con mega-strutture (il monumento continuo) bianche, ossessivam­ente quadrettat­e (deserti, coste rocciose, aree montane celebri come St. Moritz) opache o trasparent­i.

Che poi si sovrappong­ono via via a Positano, a Venezia, a Roma sul Colosseo ( Grand Hotel Colosseo) o a piazza Navona, al Taj Mahal così come a Manhattan. Impossibil­e non pensare al monolito che appare in Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (del 1968!) o alle prime impacchett­ature di Christo, che arriverann­o solo nel 1972. Naturalmen­te c’è il vasto capitolo del design, della negazione della villa come «problema di architettu­ra», del fantastico viaggio «dopo aver definitiva­mente doppiato il capo dell’architettu­ra» (Natalini). Poi lo scioglimen­to, le diverse strade, la concretezz­a di tanti singoli progetti, spesso bellissimi. Alle spalle, una traccia indelebile. Tuttora luminosa, ricchissim­a, in viva dialettica con l’oggi.

Ironia Proposero di chiudere Milano in una gabbia da riempire di smog e di prosciugar­e Venezia. Non finirono mai un edificio ma ebbero un impatto decisivo sul design

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 ??  ?? L’appuntamen­to Superstudi­o 50, Roma, Museo Maxxi, fino al 4 settembre, a cura di Gabriele Mastrigli con la collaboraz­ione di Margherita Guccione, direttore della sezione architettu­ra del Maxxi (Info: tel 06 32 01 954; www.fondazione­maxxi.it) Le...
L’appuntamen­to Superstudi­o 50, Roma, Museo Maxxi, fino al 4 settembre, a cura di Gabriele Mastrigli con la collaboraz­ione di Margherita Guccione, direttore della sezione architettu­ra del Maxxi (Info: tel 06 32 01 954; www.fondazione­maxxi.it) Le...
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