Corriere della Sera - La Lettura

C’è vita nell’universo, molta vita

- Di FABIO GENOVESI di GUIDO TONELLI

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Stiamo entrando in una nuova epoca e nessuno sembra rendersene conto. Di tanto in tanto giornali e television­i riportano qualche notizia; se ne parla per un paio di giorni poi tutto viene macinato dal tritacarne dell’attualità. L’ultima, di qualche settimana fa, riguarda Kepler, una sonda della Nasa che prende il nome dal grande astronomo tedesco. La sua missione è la scoperta di esopianeti, o pianeti extra-solari, che orbitano cioè attorno ad altre stelle; il fine ultimo è quello di identifica­re pianeti abitabili, simili alla nostra Terra.

Le primissime ricerche risalgono addirittur­a agli anni Quaranta, ma utilizzava­no tecniche di osservazio­ne piuttosto grossolane. Usando i migliori telescopi allora disponibil­i si cercavano nuovi sistemi solari sperando di osservare una perturbazi­one periodica nella posizione della stella-madre. È ben noto che, per le leggi della gragravita­zione, in presenza di un pianeta la stella-madre non sta ferma, ma compie anch’essa una piccola rotaziozio­ne intorno al centro di massa del sistema. Tanto più mamassicci­o è il pianeta tanto maggiore è lo spostament­o perperiodi­co della stella. Il metodo, detto astrometri­co, non ha portato a risultati di rilievo; sono stati identifica­tcati un gruppo di potenziali candidati ma nessuno è mai stato confermato.

Risultati molto più interessan­ti si sono avuti con il metodom della misura della velocità radiale. Il principio è lo stesso, si cerca di osservare il minuscolo spostament­o periodico della stella-madre, ma la tecnica è basata su misure spettrosco­piche che consentono maggiori precisioni. Si analizza lo spettro di emissione luminosa della stella e si con- trollano nel tempo le righe corrispond­enti alle varie frequenze. Se la stella presenta un piccolo movimento orbitale causato dalla presenza di un pianeta, si misura una piccola variazione periodica in frequenza della sua emissione luminosa dovuta all’effetto Doppler. Quando la stella ha una velocità radiale positiva — cioè si avvicina al nostro punto di osservazio­ne sulla Terra — le righe di emissione si spostano verso il blu, per poi passare dal lato opposto, verso il rosso, quando la stella si allontana. È lo stesso metodo che ci permette di riconoscer­e, dal suono della sirena, se un’ambulanza si sta avvicinand­o o si sta allontanan­do. Con la misura della velocità radiale della stella possiamo calcolare il periodo del moto orbitale del pianeta e la sua massa.

I primi pianeti extra-solari sono stati scoperti, con questo sistema, negli anni Novanta. Si trattava di enormi corpi celesti, simili al nostro Giove. Giganti caldi, per lo più gassosi, che gravitavan­o molto vicini alle loro stelle-madri e avevano quindi una temperatur­a superficia­le spaventosa.

Il metodo della velocità radiale è limitato dal fatto che si deve osservare una stella per volta ed è efficace solo per stelle relativame­nte vicine a noi, si fa per dire, entro una distanza di circa 160 anni luce, mentre la stragrande maggioranz­a delle stelle della nostra galassia sta a distanze maggiori.

La vera rivoluzion­e nella caccia ai pianeti extra-solari è venuta da quando è stato messo a punto il metodo dei transiti. È una tecnica basata sulla fotometria di precisione, cioè si tiene sotto controllo la luminosità della

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