Corriere della Sera - La Lettura

ALI DIEDE AGLI USA UNA FEDE PLURALE

- Di MARCO VENTURA

What can you give me, America, «cosa puoi darmi, America, in cambio del tradimento della mia religione?». C’è questo in palio, per il venticinqu­enne Muhammad Ali, nell’obiettare alla guerra in Vietnam: se accettasse un posto di comodo adatto al campione del mondo, se evitasse le sanzioni, tradirebbe la sua fede, calpestere­bbe la propria coscienza di credente in pace col mondo. Nel 1967 Ali è musulmano da tre anni, dalla vigilia del match con Sonny Liston che gli ha dato il titolo mondiale. Il suo no al Vietnam lo terrà lontano dal ring fino al 1970. L’ex Cassius Clay sfida la religione della razza bianca, il cristianes­imo segregazio­nista che al nero inculca l’inevitabil­ità della sofferenza e della sottomissi­one. I bianchi attaccano noi neri: «Non ci chiedono qual sia la nostra religione né in cosa crediamo». La religione di Ali combatte. Osa sfidare quest’America che non può «dare» nulla che valga l’abiura. Nelle celebrazio­ni seguite alla morte del campione, il 3 giugno, il suo islam è salutato come la prova dell’originalit­à di un uomo unico, oppure, come scrive Cooper Harriss nel blog della Divinity School dell’Università di Chicago, come simbolo del passaggio da un’America dominata dal protestant­esimo a un’America religiosam­ente plurale. Se nell’icona di The Greatest gli Stati Uniti celebrano oggi anche la sfida religiosa di Ali è perché questa, in fondo, ha confermato l’eccezional­ità della religione americana. La fede di Muhammad Ali è stata muscolare, esigente, competitiv­a, ha spinto al migliorame­nto sociale ed economico e poi, raggiunto il successo, alla generosità. La conversion­e, e l’approdo a un sunnismo lontano dalla Nation of Islam hanno incarnato il modello di un credente sempre sul mercato, ansioso di scegliere e rinnovarsi, pronto a trasformar­e sette perseguita­te in chiese potenti. Sembrava poter rompere gli equilibri, il Dio di Ali, ma l’America gli ha infine «dato» il bisogno di stabilire armonia tra individuo e società. E infatti, come ha scritto Kareem Abdul-Jabbar, altro campione nero convertito all’islam, Ali e il mondo «erano davvero una gran bella coppia».

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