Corriere della Sera - La Lettura
Le emozioni non dimenticano: una tira l’altra
Barbara Rosenwein spiega come i sentimenti siano collegati a quelli delle epoche precedenti
Riavvolgere, come in un nastro, le emozioni. Per capire come esse si siano tramutate, nel tempo. Dalla tarda antichità al Settecento. Ecco come si può riassumere Generazioni di sentimenti della storica americana Barbara Rosenwein tradotto ora in maniera sapiente per i tipi di Viella da Riccardo Cristiani. Che ha infuso in questa versione italiana un tocco creativo, tanto da far pensare, a chi legge rispetto all’edizione inglese, addirittura a una nuova pubblicazione, rivista, corretta e migliorata.
Il perché di questo libro, è presto detto. Da qualche decennio, la storia delle emozioni è venuta alla ribalta, tanto da parlare di una vera e propria «svolta emotiva». Alla base di questo interesse, gli stimoli, sempre incombenti, di un maestro come Norbert Elias. E la sua idea del processo di civilizzazione, ossia la persuasione che, se nel periodo medievale la società ha favorito l’emotività e la corporeità, gli uomini dell’età moderna hanno imparato a dominare le emozioni, elaborando un sistema di vincoli ed etichette: elemento cardine di quella «società delle buone maniere», in cui il controllo era il perno intorno cui ruotavano molti aspetti del quotidiano e della convivenza sociale.
Da allora, due tendenze sul tema delle emozioni: da una parte quella dei medievisti, che hanno cercato di spiegare che la civiltà medievale fu tutt’altro che un periodo di impulsi sfrenati. Dall’altra, i modernisti, i quali in genere hanno mostrato disinteresse per la ricerca della continuità col passato medievale, riproponendo, come nel caso di Ute Frevert, nozioni come quella di modernità che, in fin dei conti, ricalca il concetto di civilizzazione caro a Elias.
La strada intrapresa da Rosenwein è diversa e cerca di coniugare le differenti epoche col tracciare un profilo di lungo peri- odo, con una campionatura critica e selettiva che salda, seguendo un filo del discorso ragionato, Cicerone e Agostino, Gregorio di Tours e Alcuino, San Francesco e Tommaso d’Aquino fino a uno scolastico a vocazione umanistica come Jean Gerson (1363-1429). E si spinge oltre, col discorrere di malinconia — e dei suoi «parenti stretti», disperazione e tristezza — attraverso le parole di Edmund Spenser, Robert Burton e William Shakespeare. Col giungere, pressoché alla fine del libro, ai «movimenti volontari comunemente chiamati passioni» che Thomas Hobbes introduce nel VI capitolo del Leviatano, fondamento im-