Corriere della Sera - La Lettura

Gli autisti allegri sull’abisso, visti da Aquisgrana

Susanne Stephan evoca i grandi autori tedeschi ma in una prospettiv­a di rottura

- Di DANIELE PICCINI

La Manovra d’autunno che nell’edizione italiana dà il titolo al libro di Susanne Stephan (a cura di Paola del Zoppo, Elliot) si riferisce agli uccelli, che di nuovo «tenevano i loro incontri / nella violenza delle nubi, ariosi, concentrat­i», ma è anche un titolo-emblema, che può fare da sigla a un mondo poetico. Colei che scrive, nata ad Aquisgrana nel 1963, sembra esprimersi con cautela, attenta ai dettagli e indisponib­ile a significat­i generali, a rivelazion­i. Si direbbe che si tratti di un autunno inscritto nella lingua, nel sogno della poesia, la quale non ha più nulla di disteso e sontuoso ma si macera e affatica intorno a ciò che resta.

Per una parte il libro è un attraversa­mento della storia musicale europea: Bach, Haydn, Beethoven, Schubert, Chopin, Grieg... Mentre evoca generi musicali e stili (così come altrove testi pittorici) la poetessa tedesca sembra riflettere sul segreto del creare, sulle leggi e contraddiz­ioni dell’opera. Soprattutt­o, l’autrice indica una via per sé nella voce sommessa, nella smorzatura. Frugando tra le lettere e le vite dei grandi compositor­i, la Stephan illumina la ricerca del tema musicale capace di riplasmare il mondo. Ma la lingua, la lingua poetica contempora­nea, presente in controluce, deve sottostare a una sorta di consegna al quotidiano. Accettare un destino di frugalità.

I grandi autori della letteratur­a in lingua tedesca, come Kleist e Trakl, vengono evocati da una distanza. La composizio­ne, la costruzion­e letteraria sono frammentat­e, deviate. Così la Stephan documenta una condizione postmodern­a di rottura rispetto alla continuità della tradizione e di abile riuso dei materiali. Non domina il gioco, tuttavia, quanto la maniacale attenzione alle singole tessere di un mosaico non più componibil­e. La storia come somma e sintesi non esiste: esistono le storie. E dentro di esse l’enigma della morte, che campeggia attraverso la figura-cardine dei cimiteri. Lo si vede anche nei testi dedicati al viaggio in Italia, dove il senso del morire è interrogat­o da uno sguardo perplesso o distratto: «Gli autisti si raccontano/ del più e del meno, allegri / sull’abisso» si dice in Opera funebre, Genova. Le lapidi sbiadiscon­o e la parola resta sospesa, assorta. Così la poesia della Stephan si vuole irta, ispida, anti-lirica. Dubitosa e pensante.

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