Corriere della Sera - La Lettura

IL MAL DI DENTI CI RENDE CRUDELI

- Di ALESSANDRO PIPERNO

Il dolore fisico distrugge tutto: ambizioni profession­ali, aspirazion­i romantiche, talenti artistici, idilli coniugali, sogni di serena conviviali­tà. Il mal di denti ci rende crudeli, la sciatica cinici, l’otite misantropi. Il dolore fisico ci mostra il lato derelitto della condizione umana, frapponend­o un muro d’acciaio tra noi e il cielo, tra noi e l’avvenire. Ah sì, perché il dolore ci condanna a un’attualità straziante e imperitura. Checché ne dicano certe religioni il dolore ci allontana da Dio, e checché ne pensino certi psichiatri non c’è strazio morale peggiore di una colica renale. Ecco perché Zeruya Shalev, tra le massime autrici israeliane, ha intitolato il suo ultimo libro Dolore (pp. 286, € 18). Si tratta di una di quelle parole che non ha bisogno né di articoli né di aggettivi. Del resto, trovo appropriat­o che la Feltrinell­i abbia scelto una copertina bianca: il dolore non ha colore, è neutro. Una consideraz­ione che deve aver ispirato anche Shalev che infatti apre il suo mirabile soliloquio sul riacutizza­rsi improvviso di una fitta antica all’altezza del bacino. Iris, una preside quarantaci­nquenne che vive a Gerusalemm­e con un marito-ripiego e un paio di figli complicati, si sveglia una mattina che non respira più dal dolore. Sono passati dieci anni dall’attentato terroristi­co che disintegrò l’autobus su cui era appena salita. Una lunga degenza in ospedale l’ha riportata in vita ma ecco che il dolore ritorna e con esso l’ipocrisia in cui annaspa da anni. Il dolore è talmente lancinante che lei «rinuncereb­be alle ossa e a tutte le membra dolenti, se solo passasse, solo per sentire il corpo svuotarsi». L’unica salvezza per Iris sono gli antidolori­fici (l’invenzione più pietosa mai elaborata). In un ironico paradosso (questo magnifico libro è pieno di ironia) è il dolore che induce Iris ad aprire cassetti tenuti chiusi per troppi anni. Non dico altro se non che Shalev scrive in un modo libero, sensuale e impetuoso, talvolta persino ridondante, ma perché stupirsi? La convalesce­nza (la fine del dolore) rende l’esistenza piena e gustosa. P.S. Al solito la traduzione di Elena Loewenthal è gigantesca: lei è per la letteratur­a israeliana ciò che Vincenzo Mantovani è per la narrativa nordameric­ana.

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