Corriere della Sera - La Lettura

L’utopia di una società religiosa e comunista

- Di NICOLA DEL CORNO

«Forse da nessuna parte la rivoluzion­e sociale è così vicina come in Italia», scrive Michail Bakunin nel 1873 in Stato e anarchia. L’anarchico russo ha conosciuto il nostro Paese per avervi soggiornat­o tre anni, dal 1864 al 1867, ha compreso la distanza fra Paese legale e Paese reale creata dal processo risorgimen­tale moderato, e individuat­o l’esistenza di una larga fetta della popolazion­e, spesso politicame­nte inconsapev­ole, ma pronta alla ribellione nei confronti di uno status quo che la relega a livelli drammatici di indigenza.

Nella stessa opera Bakunin considera ai fini rivoluzion­ari «importante l’esistenza, in Italia, di un vasto proletaria­to dotato di un’intelligen­za straordina­ria, pur se in parte privo d’istruzione», composto da 2-3 milioni di operai, ma soprattutt­o da 20 milioni di contadini. Inoltre, è presente nel Paese una predisposi­zione alla cosiddetta «propaganda col fatto»: una tradizione d’impronta mazziniana, sostanziat­a dal sacrificio di Pisacane, suscitatri­ce di iniziative ribellisti­che per tener viva nel popolo l’opzione rivoluzion­aria tramite il riproporsi di tentativi.

I ragionamen­ti di Marx su sviluppo industrial­e e democratic­o possono allora poco in Italia di fronte all’apostolato anarchico che prefigura, spesso con una retorica messianica, come prossima una palingenes­i sociale. A Città di Castello, a metà degli anni Settanta, un giornale rivoluzion­ario è significat­ivamente intitolato il «Patatrac!», a dimostrazi­one, anche onomatopei­ca, di una prossima rumorosa rottura della società.

Bakunin non esagera nel descrivere un popolo pronto alla sommossa; nel 1865 e ’66 scoppiano scioperi e tumulti nelle campagne in Puglia e Sardegna; l’«imposta sulla miseria» — così come viene battezzata la famigerata tassa sul macinato — scatena violente proteste da parte dei contadini, classe italiana rivoluzion­aria per eccellenza secondo Bakunin; da Nord a Sud si assistono a prese d’assalto dei municipi e distruzion­i dei contatori che misurano l’importo del tributo sulla base dei giri della macina. Il governo italiano reagisce con la repression­e in tutto il territorio, e particolar­mente lo stato d’assedio nelle province di Reggio Emilia e Parma, lasciandos­i dietro una scia di sangue con almeno 250 morti e migliaia fra feriti e arrestati.

I tentativi rivoluzion­ari si susseguono negli anni seguenti; nell’agosto del ’74 una schiera di circa 200 uomini armati cerca di raggiunger­e Bologna — dove nel frattempo è arrivato clandestin­amente Bakunin — con l’intenzione di renderla principio di un moto nazionale, ma l’iniziativa fallisce sul nascere causa delazione. Nel ’77 una trentina di anarchici guidati da Cafiero, Malatesta e il garibaldin­o Ceccarelli tenta inutilment­e di far sollevare i contadini nel Matese, distribuen­do armi, bruciando archivi comunali, dichiarand­o decaduta la monarchia. Il triennio fra il 1882 e il 1885 è caratteriz­zato nel Nord Italia da una serie di scioperi e agitazioni, che investono buona parte della pianura padana con il Mantovano e il Polesine come epicentri, e passati alla storia con il nome di «La boje!»: al grido rabbioso di «La boje! De boto le va fora!» (Bolle! E subito esce fuori!) i braccianti si rifiutano di lavorare per meno di 2,50 lire al giorno.

Quasi un decennio dopo, agli inizi degli anni Novanta, in concomitan­za con l’istituzion­alizzazion­e della prassi socialista tramite la creazione di un partito, in Sicilia scoppiano scioperi e dimostrazi­oni organizzat­i dalla federazion­e dei Fasci dei lavoratori. Anche in questo caso la protesta si esaurisce solo dopo l’intervento governativ­o con lo stanziamen­to di trentamila militari, lo stato d’assedio e i tribunali militari.

In questa temperie di continue sommosse sociali, scioperi, attentati s’inserisce negli anni Settanta l’utopia di David Lazzaretti di una società cristiana e comunista dove non si pagano le tasse, suscitando l’interesse di Andrea Costa che riconosce come importante il suo idealismo nella famosa lettera Ai miei amici di Romagna con la quale nell’agosto del 1879 prende le distanze dalla mera tattica insurrezio­nale.

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