Corriere della Sera - La Lettura
Voce e sogni, gli esploratori della Sistina
«Maestro, ma questo non è Palestrina». Un b a mbino de l coro dei Pueri Cantores si accorge del cambio di compositore dopo poche battute. Lo racconta divertito monsignor Massimo Palombella, direttore della Cappella Musicale Pontificia Sistina, formata da una ventina di cantori adulti stabili, «assunti a tempo indeterminato dalla Santa Sede», e da circa 35 giovani e giovanissimi cantori, che costituiscono invece la sezione di voci bianche, che viene preparata da monsignor Marcos Pavan.
I bambini, chiamati a frequentare cinque anni di intensi studi musicali, sviluppano l’orecchio piuttosto in fretta. E spesso sanno distinguere un compositore da un altro. «Ogni anno facciamo circa 600 audizioni nelle parrocchie e nelle scuole romane per scegliere dodici bambini», spiega a «la Lettura» Palombella, torinese, classe 1967, nominato direttore del più antico coro del mondo da Benedetto XVI il 16 ottobre 2010. «I giovani prescelti fanno un anno di scuola preparatoria, che è la quarta elementare, poi cantano nel coro fino alla muta della voce. Qui provano quotidianamente e frequentano una scuola paritaria cattolica, legalmente riconosciuta, in cui all’istruzione scolastica si affiancano lezioni di teoria musicale, solfeggio, tecnica vocale e pianoforte. Entrano alle 8 ed escono intorno alle 17. Se avessimo un convitto, e c’è un progetto per farlo, potremmo aprire la nostra realtà ai bambini di tutto il mondo, sul modello dell’Abbazia di Westminster».
Nel corso della nostra visita in Vaticano, i bambini sono elettrizzati e più euforici del solito. Nella Cappella Sistina sono arrivati i tecnici per la registrazione di un disco del coro: in programma pagine di Palestrina, la Missa Papae Marcelli e alcuni mottetti sul tema della misericordia. Sotto lo sguardo silente dei protagonisti del michelangiolesco Giudizio universale che domina la sala con i suoi affreschi di perturbante bellezza, entra il coro composto dai venti cantori adulti e dai Pueri Cantores. Palombella dà l’attacco. Si accende la luce rossa della registrazione. Parte la musica. La forza espressiva di questo canto non si afferma con il parossismo di altre musiche, come quelle romantiche, ma al contrario con la sobrietà, con la castità delle sue formule. Cantare, nel pensiero cristiano, significa abbandonare l’area dell’individualità per entrare in quella della collettività.
Monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, cita Sant’Agostino: « Qui cantat, bis orat », chi canta, prega due volte. «La musica è una chiave per aprire la porta in un mondo della fede — dice a “la Lettura” — che senza la musica non sarebbe possibile aprire». Sembra un gioco di parole, ma il concetto arriva. «Ho cantato anche io, nel coro del seminario. Latino, tedesco, russo… I miei quattro fratelli hanno suonato invece in una banda, insieme a nostro padre. Le mie preferenze sacre? Palestrina e Bruckner».
È sera. Palombella durante la registrazione concede diverse pause per far riposare i bambini, che si avventano sui loro panini. Alcuni sono timidi e arrossiscono soltanto se li guardi, altri ci vengono incontro e s ono l oro a f a rc i domande: «Fammi vedere la tua telecamera. Che macchina fotografica hai? Io ho una che mi servirà quando andrò a fare l’esploratore». E la musica? «Ci tiene uniti. Cantiamo sempre tutti insieme. Il nostro maestro fa sempre battute che ci fanno ridere». Fra i bimbi c’è anche chi si è preparato una risposta: «La musica è rivolta a Dio ed è come se mi parlasse nell’anima».
La produttrice del disco, Anna Barry, ha gli occhi umidi di emozione a guardare i giovanissimi cantori. «Hanno voci bellissime. Ci sono molti modi giusti di cantare Palestrina ma non l’ho mai sentito eseguire così dolcemente». Durante la pausa, mentre i ragazzini mordono i panini, i cantori adulti scattano foto e inviano messaggi con gli smartphone… A differenza del coro dei bambini, in quello degli adulti ci sono diversi stranieri. L’ultimo arrivato è l’inglese Mark Spyropoulos, 36 anni: «Cantare musica scritta per questo luogo, dove ci troviamo ora, è fantastico». Czar Stoch, 50 anni, è polacco: «Ho vinto una borsa di studio della Rotary Foundation nel ’93. Sono l’unico polacco nella storia secolare del coro. Sono nato come tenore lirico e ho fatto tanta opera. Per cantare questo repertorio ci vogliono grande umiltà e tecnica». Augusto Garay, peruviano, capelli corvini e lineamenti da indio, 59 anni: «È stato un privilegio poter entrare nella casa madre della musica corale. Ho fatto parte del Coro statale del Perù per otto anni, continuare quell’esperienza a questo livello è stato come vincere alla lotteria».
C’è vita, per loro, anche fuori dal Vaticano, naturalmente. «Sono sposato — dice Garay — e ho due figlie, una di 17 e una di 15 anni. Ho creato un coro in parrocchia. Mi sono laureato in Scienze sociali. Faccio una vita come tutti…». «Anche io sono sposato», racconta il venezuelano Andres Montilla, 32 anni, sorridente, piccolino. «Sono venuto a Roma nel 2003 con una borsa di studio per laurearmi in Filosofia. Già da bambino ero un cantore nel Duomo di Maracaibo e qui ho completato gli studi musicali». Michele Marinelli, 23 anni, è stato uno dei Pueri Cantores ed è passato dall’altra parte: quella di loro insegnante. «Ora vedo tutto da un’altra prospettiva, che prima non conoscevo. E ogni giorno, comunque, imparo qualcosa di più. Fuori da qui mi occupo anche di arrangiamenti per musiche da film e lavoro negli studi di registrazione». Vittorio Catarci, basso di contagiosa simpatia, 58 anni: «Sono qui da ormai trent’anni. Ho fatto l’audizione con il maestro Domenico Bartolucci. Ho servito tre Papi, vi rendete conto? Cantare qui, oltre a essere un privilegio, perché è uno dei posti più belli del mondo, è difficile perché c ’è un’acustica particolare, rimbombante, per cui siamo costretti a cantare in un modo estremamente leggero. Il suono deve essere il più possibile spirituale, un suono che si elevi e che esca fuori dalle pareti della Sistina. Naturalmente per molti di noi che vengono dalla lirica si tratta di un’attitudine vocale anche difficile da accettare, perché dopo anni di studio per amplificare, aprire la gola, appoggiare al massimo, cantare in modo così leggero a volte può mettere in discussione il singolo cantore. Evidentemente — conclude — siamo riusciti a piegare la nostra voce, strumento delicatissimo e difficilissimo, a questo tipo di vocalità».
helmut.failoni@rcs.it