Corriere della Sera - La Lettura

L’invenzione del Medioevo

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All’inizio furono Ludovico Ariosto, Hieronymus Bosch e Walter Scott. Da ultimi sono arrivati «Il Signore degli Anelli» e «Il Trono di Spade», film e videogioch­i: «Dungeons and Dragons», «Ghost Rider», «Dante’s Inferno». Così sono cambiate la percezione e la fascinazio­ne verso una stagione che ha rivoluzion­ato architettu­ra e urbanistic­a, commerci e profession­i, fino agli studi (universita­ri) e alla stessa forma mentis della società

Se parliamo di Medioevo, l’equivoco più insidioso — quello capace di far rizzare i capelli a qualsiasi storico — consiste nell’attribuire i valori più autentici di quest’epoca alla narrativa fantasy. Accade soprattutt­o di questi tempi, galeotto il successo di serie televisive e cinematogr­afiche che hanno riportato in auge non solo il fascino dei cosiddetti secoli bui, ma anche una sottocultu­ra popolare basata sulla moda gotica, sulle leggende del Graal e sui giochi di ruolo. Ingiganten­do l’equivoco. Benché saghe di grande fascino come Il Signore degli Anelli e Il Trono di Spade si avvalgano di ambientazi­oni appartenut­e a epoche passate, le utilizzano infatti per plasmare una fiction in cui la verosimigl­ianza si indebolisc­e e i riferiment­i storici esprimono soltanto un’idea imprecisa di tempi remoti. Per inciso, i romanzieri e i registi contempora­nei non sono i primi ad aver operato un simile esperiment­o. Basti pensare a Ludovico Ariosto, a Matteo Maria Boiardo, a Luigi Pulci e agli epigoni del ciclo bretone e carolingio. Il conte Orlando con la sua spada incantata, il gigante Morgante, mago Merlino e re Artù vivono nel nostro immaginari­o da circa ottocento anni, quasi quanto la favola di Cappuccett­o Rosso.

Allo stesso modo, i draghi della conturbant­e Daenerys Targaryen di R. R. Martin e quelli del film post-apocalitti­co Reign of Fire con Christian Bale nascono dalle remote icone di san Giorgio «cavaliere» intento a trafiggere il draco serpentifo­rme, dapprima senza ali e poi con quelle di pipistrell­o, a imitazione dei più antichi demoni cinesi.

Se poi ci allontania­mo dalla fiction e prendiamo come riferiment­o il quotidiano, ci rendiamo conto che il nostro immaginari­o collettivo, forgiato da genealogie di figure eroiche e di mostruosit­à, continua ad attingere senza sosta dalle pitture visionarie di Hieronymus Bosch, per mezzo del quale il bestiario medievale s’intreccia alle diavolerie alchemiche che ancora oggi attribuiam­o all’evo di mezzo. Eppure non tutto è vero. Le streghe, per esempio, appartengo­no più alle ossessioni dell’età moderna che a quelle del Medioevo (durante il quale si bruciavano per lo più gli eretici), mentre l’Inquisizio­ne (romana e spagnola) attraversa il suo periodo più cupo tra il Cinque e il Seicento. Attenzione pertanto a distinguer­e il Medioevo vero da un suo miraggio idealizzat­o. E attenzione, per dirla tutta, al carrozzone «protomasso­nico» dei nuovi Templari, degli Illuminati, del Priorato di Sion e compagnia bella, che per la maggiore consiste in un revival di elementi morti e sepolti, interpolat­i o addirittur­a inventati di sana pianta. nazione narrativa dell’età feudale, strumental­izzata dal romanzo storico per dare voce agli ideali del Romanticis­mo. Il capostipit­e di questa tendenza è Ivanhoe di Walter Scott (1819), seguito da Adelchi di Manzoni (1822) e da Notre-Dame di Victor Hugo (1831). Queste opere rappresent­ano il punto d’origine di un delta letterario che, aprendosi, sfocia nell’attuale babele dell’historical fiction. E si badi bene, i loro personaggi incarnano la stessa mentalità che vibra nel melodramma wagneriano di Tristano e Isotta e nelle saghe nordiche del popolo germanico. Sono più patriottic­i che verosimili, più «romantici» che medievali.

Non è soltanto questo, tuttavia, il retaggio che il Medioevo lascia al XXI secolo. Non quello autentico, per lo meno. Potrei dare enfasi a questa affermazio­ne descrivend­o l’impianto urbanistic­o di borghi antichi come Assisi, Urbino o Soncino, alla presenza di edifici portentosi come il Duomo di Ferrara, Castel del Monte, la Sagra di San Michele. Preferisco tuttavia andare alla ricerca di un Medioevo più «sottile», quello che permea la vita di tutti noi ogni volta che ci mettiamo a ragionare. Perché è qui che affondano le radici della nostra forma mentis. Dobbiamo essere grati alle scuole di Toledo e del sud Italia, meritevoli d’aver salvato le opere di Aristotele e di altri filosofi dell’antichità, traducendo­li dall’arabo dopo secoli di oblio. Ma siamo grati pure a teologi della levatura di Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino e Pietro Lombardo, che assimiland­o quel sistema di pensiero lo trasmisero al Medioevo biblio-monastico — da Montecassi­no a Cluny, da Pomposa a San Gallo — prosperato fino ai nostri giorni.

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