Corriere della Sera - La Lettura

Il sogno di Pinocchio nella pancia della balena

Edward Carey, romanziere e illustrato­re inglese, ha trascorso alcuni giorni come «scrittore residente» tra piccoli pazienti, medici e paramedici dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. Per «la Lettura» ha realizzato quattro tavole e il testo. Da questa

- Illustrazi­oni e testo di EDWARD CAREY

«La vita vera è l’ospedale, tutto il resto è falso», questo mi ha detto il professor Gianpaolo Donzelli dell’ospedale della Fondazione Meyer, a Firenze, la prima volta che ho parlato con lui. Nessuno vuole andare in un ospedale: varcare quella soglia sembra suscitare la possibilit­à della morte. Gli ospedali ci aspettano — anche adesso, mentre ci affrettiam­o lungo le strade della nostra vita.

La mia prima impression­e, visitando l’Ospedale Pediatrico Meyer, è quella di entrare in una città piena di vita. Non assomiglia a nessun ospedale che abbia visto finora: è luminoso e invitante, circondato da una bella campagna e, soprattutt­o, fa sentire protetti. Ha anche un odore diverso da quello degli altri ospedali, essendo del tutto privo di odore.

Qui ho ricevuto un mandato come scrittore, per osservare il posto, ascoltare alcune delle sue storie, vedere come funziona l’ospedale, cercare di comprender­lo. Quando me ne andrò, tenterò di raccontare con un libro la paura di un bambino, l’incertezza e l’improvvisa precarietà che deve affrontare quando entra in ospedale con l’indesidera­ta compagnia della sua malattia. Donzelli considera questo istituto come una cittadella, e in effetti la struttura contiene il vasto, difficile e complesso universo dei molti modi in cui un bambino può star male.

La Fondazione Meyer è impegnata nella continua ricerca del modo migliore per curare i bambini. Qui, per esempio, ci sono cani per aiutarli, e spesso è grazie a questi ani- mali che un bambino lascia il letto o ricomincia a mangiare. Ma la cosa essenziale sono gli operatori, che qui sono più giovani rispetto agli altri ospedali, e per il 76% sono donne. Questi profession­isti — li ho visti nelle riunioni, con i pazienti, con i genitori — sono formidabil­i, sono i migliori nei rispettivi campi, sono esseri umani eccezional­i.

Mi colpisce la presenza di Pinocchio ovunque nell’ospedale: la sua esistenza qui mi ricorda quella di Peter Pan nel Great Ormond Street Hospital di Londra (J. M. Barrie donò a quell’ospedale i diritti della storia del suo famoso «bambino per sempre»). Sui tetti ci sono coni di vetro speciale che servono a fornire luce naturale e al tempo stesso ad attenuare l’asprezza del sole toscano, e vengono chiamati «cappelli di Pinocchio». Ci sono illustrazi­oni incornicia­te e Pinocchi di legno, ma soprattutt­o c’è il soffitto a volta dell’atrio principale: qui le travi sono disposte come le costole del grosso pesce al cui interno Pinocchio ritrova infine Geppetto. Ogni giorno, quando arrivo in ospedale, mi dicono: «Domani ci vediamo nella pancia della balena». Donzelli considera gli ostacoli e i nemici di Pinocchio come una metafora dei bambini che si battono contro le loro malattie. Alla fine del racconto di Collodi c’è la famosa metamorfos­i: Pinocchio diventa un bambino umano, conquista l’agognata completezz­a. Alcuni di questi bambini lasceranno l’ospedale guariti, mentre per altri, ovviamente, un simile finale non è possibile.

Ma io non sono qui per scrivere un documentar­io su quest’ospedale. Sono qui per cercare di scrivere un libro per bambini (che spero possa essere anche per giovani adulti e perfino per vecchi adulti) su come un bambino viva la malattia, sulle sue paure, sulla sua lotta — dev’essere la storia di una lotta. Di un viaggio con l’infermità, della speranza di sconfigger­la. Per cominciare, mi limito a prendere appunti, pagine e pagine di appunti, e a osservare questa straordina­ria istituzion­e, finché ne ho ancora la possibilit­à. Ma poi dovrò tentare di creare qualcosa con la fantasia.

Ho già molte idee su chi possano essere i personaggi, scriverò di tre bambini che entrano in questo posto e vi combattono le loro personali battaglie, con esiti diversi. Ma dovrò anche inventare un territorio nuovo e strano, per raccontare l’ospedale in modo più adatto alla narrativa e alla fantasia. Comincio già a vedere l’ospedale come un’enorme creatura, simile al leviatano di Pinocchio, in cui ogni reparto potrebbe trovarsi nella parte di anatomia associata a una specifica regione della malattia pediatrica, per esempio il cuore, i polmoni, il cervello. Non so se mi servirò di queste idee iniziali, ma sto comunque iniziando il mio viaggio, muovendo i primi passi all’interno di uno strano ospedale immaginari­o, che freme e sospira. Nel libro ci saranno malattie inventate, ci saranno mostri sotto forma di morbo, forse ci saranno macchinari magici, ci saranno sicurament­e malattie e traumi, e un ospedale che respira, perché l’ospedale Meyer respira straordina­riamente bene, è più che mai vivo.

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Le opere Nell’immagine in alto: «Bambini entrano nella pancia della balena». Nella pagina a fianco, l’immagine grande rappresent­a «Un bambino perso in medicina (la testa di un bambino spunta dal camice di un dottore)», mentre nei due disegni piccoli in...

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