Corriere della Sera - La Lettura
Tre viaggi a Eastbourne nell’Inghilterra del LEAVE
Viaggio in un’Inghilterra in cui cresce la nostalgia per l’Inghilterra di un tempo, nella speranza di veder riapparire un passato prossimo che non riapparirà. Qui il LEAVE ha ottenuto il 58 per cento dei consensi: stessa percentuale raggiunta nel Paese tr
L’Inghilterra finisce contro una cancellata davanti al mare. Oltre l’orizzonte, invisibile, il resto d’Europa. Il vento si infila sotto le assi del pontile di Eastbourne e solleva la gonna a pieghe di una ragazza bionda, che si sbraccia per riportarla giù. Marilyn Monroe sulla Manica, con qualche imbarazzo in più.
È la terza volta che vengo a Eastbourne, East Sussex; curiosamente, ogni volta a distanza di ventidue anni. Nell’autunno del 1994 sono arrivato qui con la Bbc, che mi aveva chiesto di raccontare una parte dell’Inghilterra cui ero legato (erano sorpresi della mia scelta, devo dire). La prima volta nell’estate del 1972, per un mese, a studiare inglese. O almeno questa era la versione destinata alle nostre famiglie.
Vivevamo in casette modeste, le semidetached houses (bifamiliari) che costituivano il marchio dell’Inghilterra. La padrona di casa ( landlady) si chiamava Mrs Potter e abitava in Susans Road, una via che dalla ferrovia scendeva verso il mare, passando vicino al deposito dei bus, al Post Office e a un luogo chiamato Picturedrome. Mrs Potter — la nonna di Harry, mi sono convinto recentemente — andava a letto alle dieci di sera e si presentava in forma smagliante al rito spartano del breakfast: pomodori affranti, salsicce rigide, uova pallide e pancetta rattrappita. Il piatto più inquietante si chiamava beans on toast: fagioli su una fetta di pane. Davanti a quest’offerta, assumevamo un’aria dolente. Sono convinto che le rockstar del tempo — da Alice Cooper (che era un uomo) a Rod Stewart — abbiano adottato il look emaciato dopo aver osservato i ragazzi italiani in vacanza-studio (prima vacanza, poi studio: la precedenza era chiara nelle nostre menti).
Tornando, mi accorgo di ricordare tutto: le strade e le discese, l’indirizzo della Eastbourne School of English (8, Trinity Trees) e l’ubicazione dei clubs cavernosi dove corteggiavamo minuscole scandinave che non fuggivano davanti alle nostre sahariane sciancrate di fustagno. Ora ca- pite perché molti di noi hanno quei luoghi nel cuore: chi si presenta con una sahariana sciancrata di fustagno a una ragazza, senza metterla in fuga, non dimentica.
Non erano posti attraenti. La poesia di una località come Eastbourne — case bianche contro il mare scuro, alberghi verticali, pioggia frequente, spiagge ostili — sfuggiva a un quindicenne italiano. Intuivo che i villeggianti inglesi, per gustare il piacere della vacanza, dovevano associarvi un po’ di sofferenza. Li incontravo al chiosco metereologico sul lungomare, impegnati a consultare una dozzina di tabelle (precipitazioni, pressione, vento, umidità), ansiosi di quantificare il proprio disagio. Quello che li eccitava era la turbolenza: un mare come il Mediterraneo — piatto, caldo, azzurro — li avrebbe annoiati. I turisti erano persone di una certa età, il che faceva della cittadina un posto bizzarro. La popolazione era composta di anziani (inglesi) e di ragazzi (stranieri). Un quarantenne, a Eastbourne, sarebbe stato preso per un alieno, e fotografato per una rivista scientifica.
Non è cambiato molto, da questo punto di vista. La novità è che nuovi anziani signori, senza chiasso, hanno sfilato l’Inghilterra dall’Unione Europea, dov’era entrata titubante nel 1973. A Eastbourne ha votato LEAVE il 58 per cento dei cittadini. In Gran Bretagna ha votato LEAVE il 58 per cento degli over 65. Tutto torna.
Brexit-on-Sea. Eastbourne, oggi, somiglia a quella che conoscevo. Potrei indossare la sahariana di fustagno, ma non mi va più bene.
Domenica mattina. Eastbourne è piena di sole e malinconia. Sul lungomare, una parata di case vittoriane che il Duca di Devonshire — il proprietario — si rifiuta di trasformare in negozi. Vento salato e manutenzione occasionale: la vernice bianca non basta a coprire il tempo che passa. Un tempo questo è stato un luogo di villeggiatura elegante. George Orwell ha abitato qui, per qualche tempo. Marx e Engels venivano a riposare. Claude Debussy, nel 1905, si chiuse con l’amante nel Grand Hotel e finì di comporre La Mer. Nel 1956 è nata qui Theresa May, che tra poche settimane potrebbe ritrovarsi, come primo ministro, al numero 10 di Downing Street.
Oggi gabbiani pasciuti e pensionati si contendono le panchine sul lungomare: sentinelle bianche sul fronte della Manica. I primi, protetti da regole ferree e passione animalista, scrutano i cartocci di patatine nelle mani dei bambini, aspettando il momento opportuno. I secondi sono arrivati in massa negli ultimi anni, attirati dal clima e dai prezzi delle case, molto inferiori a quelli di Londra. Ma poiché la capitale è solo a un’ora e mezzo di treno, alcuni vengono per la giornata.
Gli autobus scoperti della Eastbourne Sightseeing li aspettano al varco. Seafront e Pier, Grand Hotel, Beachy Head, Birling Gap, Sheep Centre, East Dean: 45 minuti per undici sterline. Poi c’è il lunch dietro le vetrate degli alberghi, dove gli ospiti sembrano pesci in un acquario. Oppure nei locali sulle strade perpendicolari al mare. Il proprietario del ristorante Athens — bianco e azzurro come una bandiera — si chiama Vince Floridis, ha passato i sessanta e non è contento di Brexit. È convinto che i prezzi aumente-
ranno ( Oil, up! Wine, up! Petrol, up!) e spiega che gli inglesi non amano i forestieri. Anzi, non li hanno mai amati. («Ero uno di loro, sono arrivato da Cipro da bambino»). Alla parete, la fotografia autografata di Brian May dei Queen. La suocera, vestita di nero, ci guarda dalla cucina. La figlia vuole diventare scrittrice e chiede: quanto costa?
Vicino al Claredon Hotel, Kenneth e Barbara si presentano come Barbie & Ken: sono sposati da 48 anni, si sono avvicinati al mare per gradi, man mano che salivano i prezzi a Londra. Non dicono cosa hanno votato, ma non sembrano stupiti del risultato del referendum. Mentre parliamo passano folate di ragazzini stranieri con gli zainetti tutti uguali, diretti verso le scuole di lingue: insieme alle case di riposo, una delle imprese trainanti della città. È come se il tempo della mia adolescenza non fosse passato: il sole tiepido, il mare verde, l’inglese incerto, l’Europa altrove.
Nel pomeriggio, le panchine si riempiono. In silenzio, gli ospiti guardano i pochi nuotatori, i bambini sulla battigia, i giornali che qualcuno ha lasciato volare via nel vento. Davanti a loro l’Eastbourne Pier, il pontile inaugurato nel 1870, bruciato varie volte (l’ultima due anni fa), danneggiato dalle tempeste e semidistrutto da una mina, nel 1942: la polizia locale l’aveva legata ai piloni, temendo un’invasione tedesca, ma non aveva innestato la sicura. L’ispettore Hercule Poirot ci venne due volte, inviato da Agatha Christie. Nel film Brighton Rock, tratto dal romanzo di Graham Greene, il pontile di Eastbourne sostituisce quello di Brighton (città vicina e rivale, pericolosamente europea: ha votato REMAIN, non a caso).
Il Pier si allunga per trecento metri nel mare. Ci s o no i l Fi s h & Chi p s Sh o p , l’Amusement Arcade con le slot-machine e i giochi da due pence, il night-club costruito al posto del teatrino andato in fiamme nel 1970. Ma nonostante il sole, il pontile è quasi vuoto. La Victorian Tea Room è deserta, le lunghe panchine verniciate di fresco aspettano passanti che non passano. All’estremità una cancellata, un tavolo e un salvagente.
Un destino curioso, quello del mare qui intorno. Negli anni 80 le spiagge balneabili erano poche, in Inghilterra. Spiega «The Guardian»: «Il governo inglese decise di vietare quasi dovunque i bagni per non avere a che fare con scarichi di fogna, preservativi e tamponi. Indicò solo 27 spiagge, ma di queste nove si rivelarono troppo sporche». Oggi, dopo azioni legali e direttive dell’Unione Europea (sulle acque balneabili, sugli scarichi liquidi urbani) il 99% delle 632 spiagge inglesi ( de
signated beaches) è balneabile. Compresa Eastbourne, ovviamente. Gratitudine per l’Europa? Neanche per sogno. In maggio l’Eastbourne Borough Council ha rinunciato perfino alla Bandiera Blu. Troppo costoso mantenerla, ha spiegato un consigliere.
Non è il suono della ritirata, quello che si sente nell’aria estiva. Piuttosto, il profumo di un ripensamento. È come se il nuovo ordine europeo non avesse mantenuto le promesse; e crescesse la nostalgia per l’Inghilterra di prima. Quando i ristoranti servivano solo roast beef, stufato e puré ( stew and mashed potato); e se dovevano fantasticare, fantasticavano in francese. Quando nei pub entravano le sigarette e non i bambini, quando c’erano gli asinelli sulla spiaggia ( donkey rides on the bea
ch), quando la frutta e la verdura si pesavano in libbre, quando girava la banconota verde da una sterlina, quando le porte si lasciavano aperte, quando gli skinheads erano brutti, sporchi e un po’ delinquenti: ma erano del posto, almeno.
Un’Inghilterra che nel 1972 ho conosciuto, e nessun referendum potrà resuscitare.
Ma a Eastbourne, di questo, non sono convinti. Sulle panchine coppie di senior
citizens scrutano il mare, senza parlare. Sperano che all’orizzonte appaia il passato prossimo, ma non accadrà.