Corriere della Sera - La Lettura
Perché ci piace quello che ci piace? Gli amici (e il caso) lo sanno
Conservatori e instabili, uguali agli altri ma unici: fenomenologia dei consumatori di oggi Siamo alieni ai nostri gusti, dettati da contesto e inconscio E internet aumenta la distanza. La tesi di Tom Vanderbilt
Qualche anno fa la catena americana di grandi magazzini Target è finita sotto accusa per aver recapitato a un’adolescente alcuni buoni sconto per prodotti per neonati. La destinataria, una studentessa della periferia di Minneapolis, non aveva detto ai genitori di essere incinta, e così i due avevano appreso la notizia con un coupon nella cassetta postale. La giovane donna non aveva confessato la notizia a una commessa o lasciato un messaggio sul sito: Target — che vanta alcuni statistici nel suo staff — l’aveva stanata grazie a un sofisticato sistema di analisi dei dati in grado di identificare con grande precisione le gravidanze delle clienti. L’ossessione di Target per i pancioni ha ragioni economiche ben precise. Nel grande risiko dei gusti personali la maternità rappresenta una fase magica per le aziende: l’unica in cui anche le donne più abitudinarie sono di- sposte a cambiare preferenze e prodotti.
Se è vero che i consumatori tendono a essere conservatori in fatto di scelte al supermarket (e a cambiare solo quando succede qualcosa di veramente grande nelle loro vite), allo stesso modo, i gusti umani sono estremamente mutevoli e quindi inaffidabili. Questa contraddizione emerge dal nuovo saggio di Tom Vanderbilt, giornalista e autore del fortunato Trafficologia (Rizzoli), che ritorna in libreria con You May Also Like (Knopf), uscito da poco negli Stati Uniti, che tenta di rispondere alla questione che da sempre ossessiona pensatori, direttori marketing e recentemente anche i programmatori di algoritmi sul web: perché ci piace ciò che ci piace? Raggiungiamo l’autore, 48 anni, nella sua casa di Brooklyn mentre è in partenza per il weekend del 4 luglio.
Ha trovato una risposta? Quali sono i fattori che condizionano maggiormen- te i gusti degli occidentali?
«Il primo fattore è il contatto. Non puoi decidere se qualcosa ti piace o meno se non sei ancora entrato in contatto con essa. Curiosamente, le nostre preferenze aumentano quando prendiamo familiarità con gli oggetti o con le esperienze. Diversi esperimenti hanno dimostrato che l’esposizione ripetuta ai caratteri in cinese ha portato persone che non leggono o parlano la lingua a esprimere preferenze solo per quei caratteri che hanno visto già, pur senza riconoscerli consapevolmente. L’altro fattore fondamentale è l’imitazione sociale. Gli umani, più di altre specie, imparano a fare le cose guardando gli altri, ma questo funziona fino a un certo punto perché poi prevale la voglia di dare un tratto tutto nostro all’operato. Gli psicologi parlano di “distintività ottimale”: amiamo assomigliare agli altri ma, allo stesso tempo, vogliamo fortemente essere unici. Così se
Fino al Rinascimento il gusto occidentale si è formato sui classici greci e latini. Il modello classico di bellezza tramandato da Virgilio, Omero, Ovidio si fonda sulla perfezione: perfezione significa armonia, proporzione, ordine, simmetria Luigi Russo A partire dal Rinascimento, il modello della perfezione diventa l’opera d’arte, che viene interiorizzata come il luogo della bellezza. Così, dalla poesia lo scettro del bello passa alla pittura, che – grazie a Michelangelo e Raffaello – comincia ad acquisire un'importanza sempre maggiore Luigi Russo Per secoli ciò che veniva definito buon gusto nei diversi settori della vita pubblica e privata – ricevimenti, arte, arredamento, abbigliamento – era considerato prerogativa dei nobili. Il concetto di gusto si basava dunque su due valori propri della nobiltà: tradizione ed esclusività Emanuela Scarpellini Obiettivi Abbiamo l’ansia di farci piacere ciò che riteniamo giusto: quelle esperienze e contenuti che, crediamo, ci renderanno migliori
Overload di offerte Il numero enorme di opzioni presenti sul web ci manda nel panico, così facciamo affidamento su quello di cui siamo sicuri Il concetto di gusto nasce nel Settecento, il secolo della borghesia e dell’Estetica. Identifica un «senso comune» che non si basa su concetti già dati o su principi assoluti ma sulla comunicabilità dei giudizi intorno ai sentimenti Giuseppe Patella
tante, troppe persone iniziano ad amare quello che amiamo, ci sentiamo come se stessimo perdendo il nostro carattere distintivo e allora guardiamo altrove per trovare cose che possano aiutarci a distinguerci».
Lei scrive: «Siamo stranieri ai nostri gusti». Crede che gli algoritmi online che orientano le preferenze degli utenti ci rendano un po’ meno alieni?
«Internet offre un’opportunità senza precedenti per diffondere i nostri gusti e intercettare quelli degli altri. Il che rende la “distintività ottimale” ancora più difficile da raggiungere. Un meme divertente o una foto su Instagram di un cappuccino perfetto o di uno sconosciuto che mangia un cronut in un bar di New York passa da essere un oggetto desiderabile a un noioso cliché in un intervallo brevissimo di tempo. Inoltre, più aumenta l’influenza dei media nelle nostre vite — penso soprattutto ai social network— più diventa difficile trovare la risorsa del proprio piacere: segui quel gruppo musicale perché apprezzi la sua musica o perché vedi che è apprezzato da un numero considerevole di persone che ti piacciono?».
Nel libro parla di «piaceri colpevoli»: i film, i libri che divoriamo di nascosto per paura di farci scoprire. Mostrare che leggiamo testi scadenti potrebbe abbassare la considerazione che gli altri hanno di noi. Se è così, quanto possiamo capire degli altri dai loro gusti «dichiarati»?
«Molto poco. Da un lato, a causa dell’ansia di farci piacere ciò che riteniamo giusto: quelle esperienze e quei contenuti che crediamo ci renderanno migliori. Per questo non tolleriamo di ammettere a noi stessi, e agli altri, che preferiamo un “libretto” a un capolavoro. I gusti delle persone sono molto mutevoli: quando mangiano un cibo per la prima volta o ascoltiamo una canzone per la seconda volta proviamo sensazioni molto diverse. Gli scienziati dicono che è impossibile predire il successo di una coppia basandosi, ad esempio, sulle passioni musicali, perché non sembrano essere un importante indicatore di compatibilità rispetto a tratti più profondi e stabili come il senso dell’etica, i fattori legati alla personalità, la capacità di ridere e far ridere».
Gli algoritmi su cui si basano i suggerimenti di ascolto, visione, compravendita si fondano principalmente su ciò che abbiamo già ascoltato, visto, comprato. Che effetto ha sulla formazione del gusto?
«Poiché gli esseri umani tendono a conservare energie, sono portati a farsi piacere ciò che già conoscono. Questo rende la vita più semplice: perché andare in giro a cercare la migliore pasticceria di Parigi se una buona pasticceria è proprio qui sotto, a due passi da casa mia? Oppure perché dovrei mettermi a scovare oscure band quando potrei riascoltare quel fantastico gruppo che conosco da vent’anni? Il rischio con internet è che — dato che le nuove proposte sono costruite e organizzate sui consumi consolidati — scaturisca una sorta di loop senza fine in cui non siamo mai veramente esposti a qualcosa di nuovo. Se metti Beatles tra le preferenze, il tuo servizio di musica in streaming ti proporrà Beatles, Ringo Starr, Paul McCartney o comunque qualcuno che abbia a che fare con il gruppo oppure che piaccia ai fan dei Beatles. Il paradosso è che sebbene abbiamo accesso a milioni di opzioni, questa esplosione di possibilità ci manda nel panico, portandoci a fare affidamento sulle poche cose di cui siamo sicuri».
Nel corso delle sue indagini ha scoperto qualcosa che non si aspettava?
«Mi ha sorpreso constatare il ruolo incredibile che svolgono l’inconscio e il contesto: la maggior parte delle nostre decisioni dipendono da essi. Se in una galleria un quadro è posizionato al centro di una parete, lo guarderanno il 70% dei visitatori. Se lo stesso dipinto viene disposto nell’angolo, verrà guardato dal 35% degli avventori. È lo stesso quadro, quello che cambia è che non è più al centro della nostra attenzione, ovvero dove crediamo che le cose “di valore” debbano stare. Nel 1999 alcuni ricercatori fecero un test di assaggio a occhi chiusi durante una fiera in Germania. Le due salse venivano proposte come diverse, in realtà erano sempre ketchup, solo che uno dei due piatti conteneva una minuscola quantità di vaniglia, la stessa che si usa nel latte per la prima infanzia. Le persone che erano state allattate naturalmente preferivano la salsa senza vaniglia, al contrario quelli allattati artificialmente sceglievano l’altra. Evidentemente avevano un’affinità con la vaniglia, confinata nell’inconscio».
Cosa muove i nostri giudizi estetici?
«Il nostro cervello tende a vedere il mondo come una serie di pattern — elaboriamo continuamente modelli predittivi del mondo, per fare poi verifiche con la realtà giorno dopo giorno. Per questo motivo amiamo infilare tutto nelle categorie: più ci piace qualcosa, più sentiamo il bisogno di metterlo in una scatola ben definita. Se, ad esempio, qualcuno mi mostra una foto di fabbriche tedesche in rovina chiedendomi un parere, la mia risposta dipenderà da come ho categorizzato gli elementi: la foto è bellissima di per sé oppure perché richiama il pathos della rovina? O forse ad attirarmi è il bianco e nero? Tutti catalogheranno l’opera usando parametri fissi: bianco e nero, realista, Germania. Certo, non per tutti è così. Alcune persone hanno un’idea di bellezza che si basa ancora su tramonti e fiori, ma in generale direi che lo standard di bellezza dipende dalla scala di priorità di ciascuno di noi. Non conta “è bellissimo”, piuttosto “è bellissimo come...”».
La rivoluzione industriale rende possibile la riproduzione degli oggetti, che da esclusivi diventano seriali. L’oggetto, ora alla portata di tutti, non è più unico e irreperibile. Nella copia risiede la chiave democratica della moltiplicazione dei gusti Emanuela Scarpellini L’istruzione di massa porta gli individui a sviluppare un capitale culturale che trascende l’appartenenza sociale di classe: grazie all’educazione i cittadini si riscattano dalle catene delle origini e sviluppano parametri nuovi che li guidano nelle scelte Emanuela Scarpellini La televisione semplifica e omogenizza la cultura con la forza del linguaggio visivo. Crea immagini forti che diventano patrimonio comune della collettività. Allo stesso modo forma una comunità immaginaria che dà a tutti la sensazione di assistere contemporaneamente allo stesso evento Vanni Codeluppi