Corriere della Sera - La Lettura

Condividi la tua timidezza. Puoi vincerla

Fenomeni Scuola, famiglia, gruppo, relazioni: con l’hashtag #GrowingUpS­hy migliaia di ragazzi raccontano su Twitter i loro problemi Rivalutazi­oni «Le persone introverse sanno entrare in sintonia con il loro mondo interiore, per questo spesso producono ca

- Di FEDERICA COLONNA

Crescere può essere difficile. Per un timido ancora di più. Lo raccontano le migliaia di persone che su Twitter hanno scelto di condivider­e le proprie esperienze di bambini e adolescent­i introversi con l’hashtag #GrowingUpS­hy — crescere timidi, appunto — entrato il primo luglio nella lista dei trending topic, i contenuti più virali sul social network. Già diffusissi­mo lo scorso anno, e secondo la Bbc lanciato dall’account @3rdborndav­is, oggi non più attivo, l’hashtag è una variazione di #GrowingUpB­lack, con cui un gruppo di utenti Twitter ha cominciato a raccontare la vita degli afroameric­ani. È stata poi la volta di #GrowingUpH­ispanic (ispanici), #GrowingUpA­rab (arabi), fino a #GrowingUpP­oor (poveri) e #GrowingUpP­retty (belli).

Il passo dal racconto dell’identità etnica a quello di una condizione economica o estetica, insomma, è stato breve: anche utenti noti come la Vine star @FreddyAmaz­in o l’account @RelatableQ­uotes, dedicato a rilanciare messaggi sulla vita quotidiana, hanno cominciato a postare tweet sull’ansia e la vergogna di interagire con gli altri. E sono stati condivisi più di 25 mila e di 11 mila volte ciascuno, contribuen­do così ad animare una conversazi­one globale.

Perché la timidezza non è un tabù e, al contrario, la proviamo più o meno tutti. Lo scrive Bernardo J. Carducci, direttore dell’Indiana University Southeast Shyness Research Institute, secondo il quale le ricerche condotte negli ultimi vent’anni segnano una chiara tendenza: l’incidenza della timidezza è in aumento e niente fa pensare a un’inversione di rotta.

Colpa anche della nostra dieta tecnologic­a e del clima culturale in cui viviamo. «Perdiamo presto la pazienza — ha spiegato il professore — perché sia- mo cresciuti con l’abitudine a eventi che accadono sempre più velocement­e».

Così siamo diventati intolleran­ti di fronte a chi impiega più tempo per scaldarsi e i timidi sono i primi a soffrirne. Anche se, avverte Carducci, la timidezza non è né una malattia né un’allergia al genere umano. Ne è convinta, per esempio, Susan Cain, autrice di Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare (Bompiani). Anche se timidezza e introversi­one non sono la stessa cosa — la prima, spiega, è la paura del giudizio sociale mentre la seconda riguarda il fatto di sentirsi meglio in contesti tranquilli — hanno un tratto in comune: il distacco sociale, che spesso penalizza chi lo prova.

Le persone estroverse, infatti, sono considerat­e più intelligen­ti anche se, avverte Cain, non c’è nessuna vera connession­e tra una buona chiacchier­a e una buona idea. Anzi. «Alcune delle migliori in- venzioni e delle più grandi opere d’arte — scrive — dalla teoria della evoluzione ai girasoli di van Gogh, sono nate dalla testa di persone introverse che sapevano entrare in sintonia con il loro mondo interiore per trovarci dentro grandi tesori». Le guance rosse, però, non vengono solo agli intellettu­ali ma anche ai leader politici. Barack Obama sarebbe un introverso, ha scritto David Brooks del «New York Times», e anche Hillary Clinton non spicca per socievolez­za. «Sono una estroversa-introversa», ha dichiarato alla Cnn. Nulla di strano.

Secondo Dan Goleman, psicologo e giornalist­a, infatti, leader non si nasce, ma si diventa, e anche i timidi possono farcela. Insomma, il mondo può essere degli introversi, a patto che si dichiarino. Perché la «cura» alla timidezza non è dentro di noi, ma fuori. Nelle storie degli altri: divertenti, ironiche e buffe proprio come le nostre brutte figure.

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