Corriere della Sera - La Lettura
Produttori di pasta. E grandi consumatori
Mappe Rappresenta il polo più importante dell’industria alimentare italiana: da sola vale 18,5 miliardi. Ecco perché il futuro dell’agricoltura (e della nostra salute) dipende dalla qualità del grano
Qualche anno fa un film ebbe particolare successo raccontando di una fabbrica, un po’ mitologica, di cioccolato. Sarebbe questo il tempo di entrare e raccontare una fabbrica che ci riguarda più da vicino. Per storia, per abitudine, per arte culinaria: la pasta.
I numeri non dicono quasi mai tutto, ma consentono di entrare in un mondo e lasciarci un po’ stupiti. Per l’Italia la pasta è il primo polo dell’industria alimentare, da sola vale 18,5 miliardi di euro e un quinto delle esportazioni alimentari sono fatte di spaghetti, tortiglioni, conchiglie... È una specie di ambasciatore permanente della cultura made in Italy.
Il fatto, come si vede nella visualizzazione, che ne restiamo anche tra i primi consumatori del mondo, in qualche modo rassicura sull’evoluzione delle abitudini ancorate a una storia antica. Il geografo arabo al-Idrisi, per dire, scriveva di «un cibo di farina in forma di fili» nel 1154. Indicando un nome: triyah, dalla radice tari, che vuol dire umido, fresco. Da Palermo la pasta si esportava in botti, come quelle del vino. E furono sempre gli arabi a essiccarla, come si legge nel sito dell’Ipo-International Pasta Organization (in Italia l’organizzazione che raggruppa i pastai si chiama Aidepi).
A pensarci bene è forse stato uno dei primi test della capacità di design di quello che anni dopo sarebbe diventato il made in Italy. Così non stupisce che adesso si sia arrivati addirittura a poter confezionare forme 3D di paste disegnate al computer e poi preparate in tempo reale, pronte per essere cotte. La pasta è stata anche uno dei primi mondi nei quali le corporazioni si sono formate: chi vendeva pasta senza essere un fornaio veniva punito con 25 scudisciate.
Un viaggio dentro le tradizioni e dentro i conti di una bilancia commerciale. Con un tema, che sta diventando sempre più centrale: il costo della materia prima, ovvero il grano. Ormai la produzione di frumento viaggia intorno ai 16 euro a quintale, ed è per questo che la sfida dell’agricoltura italiana dipenderà molto dalla qualità. Non solo. Sono in tanti a voler recuperare i tipi di frumento usati in passato, perché dentro quei chicchi c’è la memoria di un Paese oltre che qualità organolettiche. C’è il sorriso e la gioia di Totò che divora un piatto di spaghetti ma anche migliaia di persone che lavorano in un settore centrale per l’economia italiana. Che, non a caso, resta il primo produttore mondiale. Con un livello quasi doppio rispetto al secondo, gli Stati Uniti.