Corriere della Sera - La Lettura
Un muro che si oppone al sogno Con i migranti tra Messico e Usa
Dopo la caduta di quello di Berlino, sembrava finito il tempo dei «muri della vergogna», se si esclude la barriera che separa la Cipro greca da quella turca. Così quasi nessuno ha fatto caso al muro costruito nel 1994 al confine tra Messico e Stati Uniti: lungo quanto tutta l’Italia, al cui confronto il Muro di Berlino era ben poca cosa. Anche in termini di vite umane sacrificate: tremila vittime ufficiali — oltre ventimila, secondo le organizzazioni per i diritti umani — nei 22 anni di barriera innalzata vicino alla Interstate 10 lungo il confine messicano. L’impresa coraggiosa di Flaviano Bianchini per attraversarlo è raccontata in Migrantes. Clandestino verso il sogno americano (Edizioni Bfs, 2015). Nel viaggio dal Guatemala a Tucson, mescolato tra i migranti, l’autore testimonia in prima persona la durezza, la violenza, l’inumanità sopportate da chi riesce a superare il confine (600 mila l’anno) inseguendo il sogno americano. La denuncia di Bianchini, però, è stata offuscata dall’emergenza di altri flussi migratori che sconvolgono gli assetti demografici: migrazioni interne verso le periferie delle global cities (secondo la definizione di Saskia Sassen), ma soprattutto migrazioni transnazionali per sfuggire alla fame e alla guerra. Da una parte si proclama la cancellazione dei confini, favorendo aperture culturali, scambio di merci, denaro, progetti; dall’altra si impedisce il passaggio alle persone. La permeabilità delle frontiere è preclusa agli esseri viventi e i muri, politicamente abbattuti, risorgono fisicamente a impedire il diritto di muoversi da un luogo all’altro.