Corriere della Sera - La Lettura
Magica e feroce, la zampata di Bukowski
Antologie Un volume con i versi e le brevi prose dell’autore americano sui gatti di cui era innamorato. «Sanno che non vale la pena scaldarsi. Basta guardarli e ti sentirai meglio»
Charles Bukowski amava i gatti. Era arrivato a possederne nove, nella casa dove abitava con la moglie. Gatti di ogni sorta e colore, gatti con storie diverse, gatti abbandonati, gatti entrati in casa per conto proprio, gatti ricevuti in dono, gatti salvati. A cos’era dovuto questo suo grande amore?, viene subito da chiedersi. Bukowski risponde con molta chiarezza. «Avere una banda di gatti intorno», spiega, «è bello. Se ti senti giù, basta guardare i gatti e ti sentirai meglio, perché loro sanno che tutto è come semplicemente è. Non vale la pena scaldarsi. Loro lo sanno e basta. Sono i salvatori». Difficile immaginare una dichiarazione d’amore più esplicita.
S’intitola appunto Sui gatti un nuovo libro di Bukowski, che è stato assemblato raccogliendo le tante poesie che nel corso del tempo lo scrittore statunitense ha dedicato a questo misteriosissimo convivente dell’uomo. Tradotto da Simona Vi- ciani e pubblicato da Guanda, oltre alle poesie il volume comprende anche qualche raccontino e alcuni frammenti in prosa, in certi casi notevoli. Il fatto è che al cospetto del gatto il particolare estro creativo di Bukowski sembra dare quasi sempre il meglio di sé. Voglio dire che per questo autore di migliaia e migliaia di poesie, che tante volte non riescono a privarsi di un’impressione di gratuità o di facilità, quasi che la parola poetica dovesse sempre e comunque accadere, il tema elettivo del gatto, delle sue movenze e dei suoi comportamenti, costituisce una specie di garanzia di necessità e di coerenza conoscitiva, se non di una concretissima ambizione sapienziale.
Si può dire che non ci sia uno di questi componimenti che sia stato scritto sulla spinta della sola immediatezza, della reazione puramente emotiva agli stimoli della vita. Il gatto conduce Bukowski a osservare, o meglio a contemplare per ore e ore (non si stanca mai di farlo), a prendere tempo, a meditare, a giudicare e a commisurare, in una sola parola a comprendere. Così si può dire che la forma complessiva di queste poesie sia quella della constatazione: si tratti di testi più lunghi o di semplici formulazioni aforistiche, in ogni caso queste poesie tendono ogni volta a rovesciare l’osservazione in conoscenza, a risolvere il lungo amore e lo studio in una possibilità di orientamento nella vita.
«La dottrina dei gatti», così si potrebbe sottotitolare questo libro, con un genitivo insieme soggettivo e oggettivo, in quanto la saggezza esistenziale di cui i gatti sono più o meno consapevolmente i depositari (è proprio questo il loro mistero), diventa a sua volta la saggezza conquistata e infine rivelata dalla poesia. In ogni caso, la freschezza, la reattività e la prontezza istintiva tipiche della scrittura di Bukowski vengono preservate, ma congiungendosi per lo più, come detto, con qualcosa di sedimentato e di durevo- le, come appunto un ammaestramento esistenziale. Gli spunti sentenziosi e didascalici, che invitano ad ammirare e a comprendere, sono non a caso molto frequenti.
In ogni caso tutto parte sempre e comunque dal basso. La dimensione basica della vita che i lettori dei romanzi di Bukowski conoscono molto bene — l’aggirarsi eternamente per casa, il bere, il sesso, i dialoghi con le compagne, il piacere del lasciarsi andare, dello squallore, del decadimento fisico come ricerca di essenzialità e di libertà — anche in queste poesie riaffiora continuamente. Eppure non è questo che qui davvero importa, non è questo il centro della rappresentazione. Viene in mente quanto aveva detto Cesare Garboli della poesia di Sandro Penna, perché anche in questi testi accade qualcosa di simile. Gli elementi della scena, gli uomini coi loro gesti e con le loro parole, gli interni, gli oggetti, le situazioni della vita privata non sono qui il vero riferimento dell’attenzione, ma entrano nel quadro casualmente, come se stessero passando per caso alle spalle del vero protagonista dell’immagine, che in questo caso ovviamente è il gatto, il gatto con la sua magia, con la sua «splendida/ elegante energia/ POSITIVA», e allora anche con la sua poesia. Che sia somiglianza o, come più spesso accade, differenza rispetto al mondo degli uomini, in ogni caso è l’inarrivabile natura del gatto l’elemento di centratura e, alla lettera, il metro di queste poesie.
E dire che la natura dei gatti per come la riconosce Bukowski è tutt’altro che idillica. Anzi, è proprio un’immagine ossessiva di sopraffazione e violenza (un gatto che uccide un uccello) a costituire una sorta di tetro refrain di queste poesie: «l’uccello-amore spezzato/ il gatto cammina nella mia mente/ e non riesco a scacciarlo»; o ancora: «e il gatto cammina/ il gatto cammina per sempre/ nel mio cervello». Ed è proprio questo il punto: il gatto conquista l’immaginario dello scrittore non per una qualche idealizzazione di matrice naturalistica, ma proprio per quell’unione insondabile di naturalezza e di ferocia, di saggezza e d’istinto ch’egli avverte preclusa alle «faccende umane». A meno che non si tratti di qualcuno che questa specie di sublime rasoterra, di divina, completa presenza della vita a se stessa l’abbia in qualche modo intravista. «Questo gatto sono io», può rispondere lo scrittore a un veterinario che sta radiografando Butch Artaud Van Gogh Bukowski, un gigantesco gatto ereditato già vecchissimo da un amico.
È vero allora che il mistero del gatto, dei suoi occhi, dei suoi comportamenti, soprattutto della sua nuda presenza, immediata e incontestabile, viene proposto esplicitamente come modello della stessa scrittura poetica .« Un gatto, è un gatto, è un gatto, è un gatto », scrive Bukowski rovesciando il celebre passaggio di Gertrude Stein sulla rosa. E lo stesso potrebbe dirsi di una poesia. Sono tanti qui, non a caso, i punti di coincidenza tra i processi sia mentali sia materiali del fare poesia e le movenze, la bellezza, l’istinto e insomma il fare dei gatti. Per Bukowski è questo l’autentico punto nord della vita e della poesia. «Se io fossi uomo/ quanto lui è gatto —/ se ci fossero uomini simili a lui/ il mondo potrebbe/ cominciare»...