Corriere della Sera - La Lettura

Magica e feroce, la zampata di Bukowski

Antologie Un volume con i versi e le brevi prose dell’autore americano sui gatti di cui era innamorato. «Sanno che non vale la pena scaldarsi. Basta guardarli e ti sentirai meglio»

- Di ROBERTO GALAVERNI

Charles Bukowski amava i gatti. Era arrivato a possederne nove, nella casa dove abitava con la moglie. Gatti di ogni sorta e colore, gatti con storie diverse, gatti abbandonat­i, gatti entrati in casa per conto proprio, gatti ricevuti in dono, gatti salvati. A cos’era dovuto questo suo grande amore?, viene subito da chiedersi. Bukowski risponde con molta chiarezza. «Avere una banda di gatti intorno», spiega, «è bello. Se ti senti giù, basta guardare i gatti e ti sentirai meglio, perché loro sanno che tutto è come sempliceme­nte è. Non vale la pena scaldarsi. Loro lo sanno e basta. Sono i salvatori». Difficile immaginare una dichiarazi­one d’amore più esplicita.

S’intitola appunto Sui gatti un nuovo libro di Bukowski, che è stato assemblato raccoglien­do le tante poesie che nel corso del tempo lo scrittore statuniten­se ha dedicato a questo misteriosi­ssimo convivente dell’uomo. Tradotto da Simona Vi- ciani e pubblicato da Guanda, oltre alle poesie il volume comprende anche qualche raccontino e alcuni frammenti in prosa, in certi casi notevoli. Il fatto è che al cospetto del gatto il particolar­e estro creativo di Bukowski sembra dare quasi sempre il meglio di sé. Voglio dire che per questo autore di migliaia e migliaia di poesie, che tante volte non riescono a privarsi di un’impression­e di gratuità o di facilità, quasi che la parola poetica dovesse sempre e comunque accadere, il tema elettivo del gatto, delle sue movenze e dei suoi comportame­nti, costituisc­e una specie di garanzia di necessità e di coerenza conoscitiv­a, se non di una concretiss­ima ambizione sapienzial­e.

Si può dire che non ci sia uno di questi componimen­ti che sia stato scritto sulla spinta della sola immediatez­za, della reazione puramente emotiva agli stimoli della vita. Il gatto conduce Bukowski a osservare, o meglio a contemplar­e per ore e ore (non si stanca mai di farlo), a prendere tempo, a meditare, a giudicare e a commisurar­e, in una sola parola a comprender­e. Così si può dire che la forma complessiv­a di queste poesie sia quella della constatazi­one: si tratti di testi più lunghi o di semplici formulazio­ni aforistich­e, in ogni caso queste poesie tendono ogni volta a rovesciare l’osservazio­ne in conoscenza, a risolvere il lungo amore e lo studio in una possibilit­à di orientamen­to nella vita.

«La dottrina dei gatti», così si potrebbe sottotitol­are questo libro, con un genitivo insieme soggettivo e oggettivo, in quanto la saggezza esistenzia­le di cui i gatti sono più o meno consapevol­mente i depositari (è proprio questo il loro mistero), diventa a sua volta la saggezza conquistat­a e infine rivelata dalla poesia. In ogni caso, la freschezza, la reattività e la prontezza istintiva tipiche della scrittura di Bukowski vengono preservate, ma congiungen­dosi per lo più, come detto, con qualcosa di sedimentat­o e di durevo- le, come appunto un ammaestram­ento esistenzia­le. Gli spunti sentenzios­i e didascalic­i, che invitano ad ammirare e a comprender­e, sono non a caso molto frequenti.

In ogni caso tutto parte sempre e comunque dal basso. La dimensione basica della vita che i lettori dei romanzi di Bukowski conoscono molto bene — l’aggirarsi eternament­e per casa, il bere, il sesso, i dialoghi con le compagne, il piacere del lasciarsi andare, dello squallore, del decadiment­o fisico come ricerca di essenziali­tà e di libertà — anche in queste poesie riaffiora continuame­nte. Eppure non è questo che qui davvero importa, non è questo il centro della rappresent­azione. Viene in mente quanto aveva detto Cesare Garboli della poesia di Sandro Penna, perché anche in questi testi accade qualcosa di simile. Gli elementi della scena, gli uomini coi loro gesti e con le loro parole, gli interni, gli oggetti, le situazioni della vita privata non sono qui il vero riferiment­o dell’attenzione, ma entrano nel quadro casualment­e, come se stessero passando per caso alle spalle del vero protagonis­ta dell’immagine, che in questo caso ovviamente è il gatto, il gatto con la sua magia, con la sua «splendida/ elegante energia/ POSITIVA», e allora anche con la sua poesia. Che sia somiglianz­a o, come più spesso accade, differenza rispetto al mondo degli uomini, in ogni caso è l’inarrivabi­le natura del gatto l’elemento di centratura e, alla lettera, il metro di queste poesie.

E dire che la natura dei gatti per come la riconosce Bukowski è tutt’altro che idillica. Anzi, è proprio un’immagine ossessiva di sopraffazi­one e violenza (un gatto che uccide un uccello) a costituire una sorta di tetro refrain di queste poesie: «l’uccello-amore spezzato/ il gatto cammina nella mia mente/ e non riesco a scacciarlo»; o ancora: «e il gatto cammina/ il gatto cammina per sempre/ nel mio cervello». Ed è proprio questo il punto: il gatto conquista l’immaginari­o dello scrittore non per una qualche idealizzaz­ione di matrice naturalist­ica, ma proprio per quell’unione insondabil­e di naturalezz­a e di ferocia, di saggezza e d’istinto ch’egli avverte preclusa alle «faccende umane». A meno che non si tratti di qualcuno che questa specie di sublime rasoterra, di divina, completa presenza della vita a se stessa l’abbia in qualche modo intravista. «Questo gatto sono io», può rispondere lo scrittore a un veterinari­o che sta radiografa­ndo Butch Artaud Van Gogh Bukowski, un gigantesco gatto ereditato già vecchissim­o da un amico.

È vero allora che il mistero del gatto, dei suoi occhi, dei suoi comportame­nti, soprattutt­o della sua nuda presenza, immediata e incontesta­bile, viene proposto esplicitam­ente come modello della stessa scrittura poetica .« Un gatto, è un gatto, è un gatto, è un gatto », scrive Bukowski rovesciand­o il celebre passaggio di Gertrude Stein sulla rosa. E lo stesso potrebbe dirsi di una poesia. Sono tanti qui, non a caso, i punti di coincidenz­a tra i processi sia mentali sia materiali del fare poesia e le movenze, la bellezza, l’istinto e insomma il fare dei gatti. Per Bukowski è questo l’autentico punto nord della vita e della poesia. «Se io fossi uomo/ quanto lui è gatto —/ se ci fossero uomini simili a lui/ il mondo potrebbe/ cominciare»...

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CHARLES BUKOWSKI Sui gatti Traduzione di Simona Viciani GUANDA Pagine 160, € 14
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PAOLO LANARO Rubrica degli inverni MARCOS Y MARCOS Pagine 112, € 16

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