Corriere della Sera - La Lettura
La parola nella camera oscura della memoria
Le istantanee di Paolo Lanaro in un libro che misura il tempo del ricordo
Si direbbe che Paolo Lanaro faccia esercizi con il tempo. Che si misuri con la macerazione degli eventi, con il loro trasformarsi, nell’attesa incerta di un senso che li illumini. La sua poesia sembra essere un elenco di registrazioni, senza gabbie rassicuranti. La «rubrica» costruita dal poeta, come suona il titolo del suo libro più recente ( Rubrica degli inverni, Marcos y Marcos, collana diretta da Fabio Pusterla), riguarda istantanee che si sottraggono al significato e che piuttosto diventano semenza, germe. Infatti che cosa non viene ricomposto dal flusso temporale, dalla prospettiva e dalla persistenza della memoria? La scrittura è una sorta di camera oscura in cui entrano e si incidono fatti sempre più indecifrabili. Essa li cattura con «parole pacate» («e quello che è fragore si fa quieto»), ma non ne elimina la spina. Perciò le scene più tenacemente indagate sono colme di un «oscuro retroscena».
La donna che in un attimo del tempo, davanti al bancone di un fioraio, rivede e recupera la traiettoria del suo destino, si accorge di una inconoscibilità radicale: «Era chiaro ormai che la sua vita/ era un grande, illeggibile, enigma...». Con la stessa attitudine il poeta vicentino lascia che gli eventi si depositino nella memoria, che riacquistino un’energia misteriosa, di continuo confinanti con il nulla, eppure aperti a un soffio, a un refolo d’aria, a un vento mulinante da chissà dove e di cui non si conosce la destinazione. Così si compie l’atto di onestà più profondo di questa parola poetica, che è la sospensione, in virtù di un dubbio, del suo stesso desiderio di annullamento e negazione: «(Ma se poi davvero lassù ci fosse Dio?/ E se ciò che per un po’ ci ha ammutoliti/ fosse stata proprio una sua veloce occhiata?)». Tra i poeti amati, i maestri di sguardo sono Caproni e, in particolare, Sereni. E come a livello tecnico la lingua cinerea e il ritmo slogato evitano ogni estetica decorativa, così sul piano filosofico si fa strada il sentimento del nulla. La parola lo registra, lo seziona, inseguendo l’immagine ritornante della neve, ma al tempo stesso vorrebbe stare «ad ascoltare i germogli, il rumore impercettibile/ che riprende dai luoghi delle rovine».