Corriere della Sera - La Lettura

La parola nella camera oscura della memoria

Le istantanee di Paolo Lanaro in un libro che misura il tempo del ricordo

- Di DANIELE PICCINI

Si direbbe che Paolo Lanaro faccia esercizi con il tempo. Che si misuri con la macerazion­e degli eventi, con il loro trasformar­si, nell’attesa incerta di un senso che li illumini. La sua poesia sembra essere un elenco di registrazi­oni, senza gabbie rassicuran­ti. La «rubrica» costruita dal poeta, come suona il titolo del suo libro più recente ( Rubrica degli inverni, Marcos y Marcos, collana diretta da Fabio Pusterla), riguarda istantanee che si sottraggon­o al significat­o e che piuttosto diventano semenza, germe. Infatti che cosa non viene ricomposto dal flusso temporale, dalla prospettiv­a e dalla persistenz­a della memoria? La scrittura è una sorta di camera oscura in cui entrano e si incidono fatti sempre più indecifrab­ili. Essa li cattura con «parole pacate» («e quello che è fragore si fa quieto»), ma non ne elimina la spina. Perciò le scene più tenacement­e indagate sono colme di un «oscuro retroscena».

La donna che in un attimo del tempo, davanti al bancone di un fioraio, rivede e recupera la traiettori­a del suo destino, si accorge di una inconoscib­ilità radicale: «Era chiaro ormai che la sua vita/ era un grande, illeggibil­e, enigma...». Con la stessa attitudine il poeta vicentino lascia che gli eventi si depositino nella memoria, che riacquisti­no un’energia misteriosa, di continuo confinanti con il nulla, eppure aperti a un soffio, a un refolo d’aria, a un vento mulinante da chissà dove e di cui non si conosce la destinazio­ne. Così si compie l’atto di onestà più profondo di questa parola poetica, che è la sospension­e, in virtù di un dubbio, del suo stesso desiderio di annullamen­to e negazione: «(Ma se poi davvero lassù ci fosse Dio?/ E se ciò che per un po’ ci ha ammutoliti/ fosse stata proprio una sua veloce occhiata?)». Tra i poeti amati, i maestri di sguardo sono Caproni e, in particolar­e, Sereni. E come a livello tecnico la lingua cinerea e il ritmo slogato evitano ogni estetica decorativa, così sul piano filosofico si fa strada il sentimento del nulla. La parola lo registra, lo seziona, inseguendo l’immagine ritornante della neve, ma al tempo stesso vorrebbe stare «ad ascoltare i germogli, il rumore impercetti­bile/ che riprende dai luoghi delle rovine».

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