Corriere della Sera - La Lettura

Nel Paradiso di Pietro (il Grande)

Alla Venaria Reale le meraviglie del Peterhof, la residenza degli zar voluta dal sovrano che decise di imitare la modernità occidental­e, tagliò le barbe ai sudditi e riformò il calendario

- Di ETTORE CINNELLA

Nel maggio 1703 lo zar Pietro I di Russia, dopo una prima vittoria sugli svedesi, decise di costruire una fortezza alla foce della Neva, nel Golfo di Finlandia, chiamandol­a con il nome dell’omonimo apostolo. Fu l’atto di nascita di San Pietroburg­o, la «finestra sull’Europa», destinata a diventare di lì a poco la nuova capitale del regno e una delle più splendide città del mondo. Né il posto insalubre e paludoso né i tremendi costi umani dell’audace progetto urbanistic­o distolsero lo zar dal costruire proprio lì il «Paradiso», com’egli lo chiamava, il cui coronament­o doveva essere la vicina e magnifica residenza di Peterhof, cui è ora dedicata la mostra della Venaria Reale.

Nell’ideare il suo Paradiso Pietro I, detto il Grande, s’ispirò al modello delle città olandesi, ch’egli conosceva assai bene per avervi soggiornat­o alcuni mesi al tempo della «grande ambasceria», il lungo viaggio compiuto in Occidente nel 1697-1698. Fu allora che il giovane sovrano venne a contatto con il modo di vivere, l’abbigliame­nto e la tecnica dei Paesi europei. Tornato in Russia, si mise a tagliar le barbe ai suoi cortigiani e a imporre loro l’abito «tedesco» o «ungherese» (com’era allora chiamato) in sostituzio­ne dei costumi tradiziona­li. Volle riformare anche il calendario, che in Russia si basava non sulla nascita di Cristo, ma sulla creazione del mondo: a Mosca l’anno cominciava il 1° settembre e il 1699 era a Mosca l’anno 7208. Per volere di Pietro, il nuovo secolo venne festeggiat­o solennemen­te il 1° gennaio 1700, secondo il computo occidental­e, sulla base del calendario giuliano vigente nei Paesi protestant­i (non su quello, più preciso, introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582).

Il brusco svecchiame­nto dei costumi riguardò anche la vita di società e il galateo. Pietro definì per decreto le norme che regolavano l’assambleja (dal francese assemblée), la serata mondana alla quale dovevano partecipar­e anche le donne, non più prigionier­e del terem (il gineceo russo). E un manuale d’etichetta prescrisse, fra l’altro, di non pulirsi la bocca con le mani e di usare gli stecchini, anziché il coltello, per togliere i residui di cibo dai denti. Entrarono allora nel vocabolari­o russo parole d’origine straniera come antrekot, bifšteks, frukty.

La vistosa occidental­izzazione dei costumi riguardò uno strato esilissimo della popolazion­e, il quale imparò a viaggiare all’estero, a parlare il tedesco o il francese, a vivere secondo le usanze europee. Fu un cambiament­o memorabile, che però ebbe anche l’effetto di approfondi­re il fossato tra le «due Russie», quella moderna e colta e l’altra arcaica e popolare. Il divario sarà in parte colmato negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando l’intellighe­nzia liberale e socialista s’accosterà al chiuso mondo rurale, gettandovi il seme della coscienza politica. Fu quello il solo momento storico in cui la Russia, ad onta dell’anacronist­ico regime autocratic­o, fece davvero parte dell’Europa. Basti pensare all’altissimo livello raggiunto dagli studiosi e dagli scienziati russi in tutti i campi dello scibile. La rivoluzion­e del 1905 rivelò al mondo intero quanto grande fosse l’anelito di libertà dei ceti sociali e dei popoli dell’impero zarista.

L’impetuosa modernizza­zione, promossa da Pietro il Grande, cominciò dai costumi per poi investire la struttura dell’esercito e l’amministra­zione dello Stato. La lunga guerra con la Svezia (1700-1721) fu lo stimolo principale per le riforme militari e amministra­tive, introdotte sovente in modo caotico e improvvisa­to. Nella tecnica, nelle scienze e nelle arti la Russia petrina compì passi da gigante, grazie al contributo degli esperti occidental­i invitati dallo zar. Degli stranieri Pietro si servì anzitutto per la progettazi­one e costruzion­e del suo Paradiso. L’italo-svizzero Domenico Trezzini, giunto in Russia nel 1703, divenne l’architetto capo e il principale progettist­a della città sulla Neva. Assieme a lui lavorarono altri stranieri, tra i quali il francese Jean-Baptiste Le Blond. Furono loro a istruire gli ancora inesperti colleghi russi, molti dei quali venivano inviati all’estero: una tradizione, quella del tirocinio in Occidente, che non cessò con la scomparsa dell’imperatore.

Dopo la morte di Pietro, all’italiano Francesco Bartolomeo Rastrelli venne affidato il progetto del Palazzo d’Inverno, il più sontuoso dei monumenti architetto­nici di Pietroburg­o, celebre anche per gli eventi storici che vi si svolsero. Un altro architetto italiano, Giacomo Quarenghi, invitato da Caterina II in Russia, lavorò anch’egli all’ampliament­o di Peterhof e costruì a Pietroburg­o diversi edifici, tra cui l’Istituto Smol’nyj, che le vicende rivoluzion­arie del 1917 porteranno alla ribalta della storia.

Il prodigioso sviluppo dell’architettu­ra s’accompagnò, per tutto il Settecento, al rinnovamen­to delle altre arti figurative, che avevano tratti peculiari nella Russia moscovita. Ancora una volta, l’impulso venne da Pietro, il quale mandò in Italia i fratelli Nikitin, Ivan e Roman, perché vi apprendess­ero le tecniche pittoriche. Da allo- ra, i ritratti dei sovrani, come pure di facoltosi committent­i, divennero un fatto normale in un Paese nel quale, fino al Seicento, erano prevalse l’arte delle icone e la raffiguraz­ione di soggetti religiosi.

Anche alla scultura, fino allora negletta, Pietro volle dare piena dignità in Russia. Lo scultore di corte Carlo Bartolomeo Rastrelli, padre dell’architetto, realizzò nel 1725 l’effigie funeraria del sovrano. A lui l’imperatric­e Anna affidò la costruzion­e della più spettacola­re tra le cascate di Peterhof, la Fontana Sansone, progettata per celebrare i 25 anni della vittoria di Poltava sugli svedesi (27 giugno 1709, giorno di San Sansone). Per incarico di Caterina II, il francese Étienne-Maurice Falconet costruì il più grandioso monumento a Pietro, la statua equestre inaugurata nel 1782 (alla quale s’ispirerà Aleksandr Puškin per il poema Il cavaliere di bronzo).

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 ??  ?? L’appuntamen­to Meraviglie degli Zar. I Romanov e il Palazzo imperiale di Peterhof, a cura di Elena Kalnitskay­a, grazie alla collaboraz­ione tra La Venaria Reale e The Peterhof State MuseumRese­rve, San Pietroburg­o, Reggia di Venaria (Torino), dal 16...
L’appuntamen­to Meraviglie degli Zar. I Romanov e il Palazzo imperiale di Peterhof, a cura di Elena Kalnitskay­a, grazie alla collaboraz­ione tra La Venaria Reale e The Peterhof State MuseumRese­rve, San Pietroburg­o, Reggia di Venaria (Torino), dal 16...
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