Corriere della Sera - La Lettura
Il vero centro romano di Milano
Uno strano pavimento e poi le testimonianze di un arcivescovo, un genio e un santo: ha riaperto dopo 50 anni la cripta di San Sepolcro. Con le prove di una rivoluzione urbanistica
Né piazza Duomo, come immaginiamo e indichiamo ancora oggi, né l’antico Broletto, luogo delle istituzioni e del mercato negli anni della Mediolanum medievale. Ma, circa 500 metri più a ovest, l’incrocio di due vie, Cardo e Decumano. Ecco il vero centro di Milano, il Foro della città «romana», un grande spazio aperto in cui — a partire dal I secolo avanti Cristo — si gestivano le attività politiche, commerciali e religiose. Il motore di una città ricca e potente. Famoso per almeno cinque secoli e abbandonato dopo gli anni gloriosi di Milano capitale (286-402 dopo Cristo). Eppure, come una vecchia tradizione, come un modo di dire di cui non si conosce più il significato, quel luogo — nascosto sotto la chiesa di San Sepolcro, in quella che oggi è l’omonima piazza — è rimasto nella memoria dei milanesi (almeno fino al 1600) come vero cuore cittadino. A dimostrarlo, tre prove capitali. Scritte. Più una calpestabile. Partiamo da questa.
Cripta di San Sepolcro, cappella ipogea della chiesa fondata nel 1030 — con il titolo di Santissima Trinità — dal funzionario della Zecca Benedetto Rozone (o Rozzoni) per rendere omaggio a «Gerusalemme in Milano». Basta arrivare fin qui (dallo scorso marzo si può, dopo 50 anni di silenzio e abbandono), qualche metro sotto il livello della strada, per immaginare uomini in toga e commercianti, nobili e miserabili, l’imperatore Augusto che raggiunge il Decumano tra la folla. E Costantino, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino. Basta scendere e guardare per terra: le lastre in pietra, usate per pavimentare la cripta, sono quelle recuperate «in loco», dall’antico Foro (la piazza occupava un’area di circa 160 metri per 50). A occhio nudo si vedono i segni dei carri che trasportavano merci e persone, la lavorazione tipica romana. «Non sappiamo — illustra monsignor Marco Maria Navoni, dottore della Biblioteca Ambrosiana, direttore della Pinacoteca, uno degli otto custodi della scienza conservata da questa grande istituzione milanese, ma anche della chiesa di San Sepolcro — se i costruttori avessero idea di che cosa fosse quel lastricato o se semplicemente avessero trovato un utilissimo materiale di risulta». Qualunque sia la ri- sposta, la posa delle pietre risale non alla fondazione della chiesa della Santissima Trinità, ma a settant’anni dopo, anno 1100, quando l’arcivescovo Anselmo IV da Bovisio, in piena «febbre» da Crociata, decise di ristrutturare la cappella (sopra e sotto) e di dedicarla al Santo Sepolcro. Il 15 luglio di 916 anni fa, giorno della consacrazione, nel documento ufficiale che certifica il nuovo nome della chiesa e la sua posizione, Anselmo dice così: «In medio civitatis».
Ecco la prima prova scritta. Che risale a un periodo in cui le cronache collocano il centro urbano nell’odierna piazza del Duomo, là dove sorgevano le chiese di Santa Tecla e Santa Maria Maggiore; al limite pochi passi più in là, verso il Broletto, dove ora c’è piazza dei Mercanti. Non di certo sotto San Sepolcro. Ma è come se l’arcivescovo Anselmo, rappresentante delle classi colte milanesi (parteciperà alla Crociata e morirà a Costantinopoli nel 1101) non rinunciasse a ricordare le origini della città e la sua antica pianta. A proposito di Crociate: siamo nel 1100, Gerusalemme è stata presa (1099), l’opinione popolare vive un momento di esaltazione. Nasce da qui la tradizione di immaginare la chiesa di San Sepolcro (ri)sorta per festeggiare le imprese dei lombardi tornati dalla Terra Santa, ma è un falso: la storiografia ha dimostrato che i milanesi non parteciparono alla Prima Crociata. La rifondazione della Chiesa nasce da un atto di devozione. Proprio in questa occasione fu pavimentata la cripta, là dove prima c’era solo terra battuta. E sempre allora fu sistemata al centro una copia del Santo Sepolcro, ma non quella visibile oggi, datata 1400 e mai scoperchiata. «L’intenzione — rivela Lorenzo Ornaghi, ex ministro dei Beni culturali e presidente della Congregazione dei conservatori della Veneranda Biblioteca Ambrosiana — è di aprirla. Ma soprattutto di completare il restauro della chiesa ipogea, con la convinzione di restituire a Milano un luogo di straordinaria intensità spirituale».
Torniamo alle prove: un pavimento antico e la testimonianza di un arcivescovo. Ci vorrà il genio di Leonardo da Vinci per fornirci altre conferme sulla centralità (geografica) di questo luogo misterioso e affascinante (11 mila visitatori nei primi due mesi di apertura al pubblico), dove in una cappella laterale, sempre all’interno della cripta, il restauro degli scorsi due anni ha fatto emergere nuovi affreschi, di cui uno trecentesco, con la raffigurazione della Maddalena, Cristo e Sant’Elena. Dove le decorazioni del soffitto richiamano quelle di epoca basso medievale.
Leonardo, al servizio degli Sforza, conosceva bene questi luoghi. Li frequentava. Tanto da tracciare una doppia pianta della chiesa di San Sepolcro, sopra e «sottoterra». Quel disegno è ora custodito in Francia. Resta invece a Milano, nelle sale della Biblioteca Ambrosiana (nello stesso complesso architettonico di San Sepolcro), il preziosissimo Codice Atlantico: nel foglio 199 v(erso) è raffigurata la mappa a volo di uccello della città di Milano. Con un quadratino Leonardo evidenzia, in mezzo alle due vie principali, la chiesa di San Sepolcro. E scrive: «Qui poni il vero mezzo di Milano».
L’esatto incrocio tra due strade: il Cardo (oggi ne sopravvive mezzo nel rettifilo tra via Cesare Cantù, via Santa Margherita e via Manzoni) e il decumano (via del Bollo, via Santa Maria Fulcorina, Santa Maria alla Porta ). E se non bastasse c’ è un altro grande milanese—frequentatore assiduo della cripta, dove amava pregare—che testimoniala centralità del Santo Sepolcro milanese: San Carlo Borromeo. Nelle Institu
t ione sOb lato rum (1581) lo definisce «Umbilicus civitatis».
Un arcivescovo, un genio, un santo. Ecco i tre grandi che stabilirono, con le loro testimonianze, la posizione del vero centro di Milano. Con loro, un altro arcivescovo, il cardinale Federico Borromeo, decise di dare nuova centralità a quel luogo e portare in questa «terra di mezzo», simbolo delle tante culture che avevano attraversato Milano, il sapere e il dialogo tra popoli. La Biblioteca Ambrosiana. Nata «per un servizio universale», recita l’atto di fondazione del 1607. Per realizzarla il Borromeo seguì il suggerimento del cardinale Agostino Valier, che nel 1587 gli scrisse: «Tu quindi, cardinale Federico, dovrai raccogliere una grande quantità di libri, dovrai costruire una biblioteca degna del tuo nobile animo, spendendovi senza risparmio tutto il denaro che sarà necessario».