Corriere della Sera - La Lettura

La potenza svogliata Berlino è più sola dopo lo choc Brexit

- Di MANLIO GRAZIANO

Con l’addio della Gran Bretagna viene meno un contrappes­o prezioso per gli equilibri del continente

Tra i tanti effetti nefasti, la Brexit ha anche messo i tedeschi in una situazione imbarazzan­te. «Egemone riluttante» in Europa, secondo un’azzeccata formula dell’«Economist» del 2013, la Germania si trova di colpo ancora più egemone, e ancora più riluttante. Generazion­i di leader in Germania hanno fatto il possibile per chiudere una volta per tutte la «questione tedesca», cioè la presenza ingombrant­e e tendenzial­mente egemone, e perciò tendenzial­mente avversata da tutti, che il Paese occupa al centro dell’Europa. E invece, ad ogni serio mutar di vento, la «questione tedesca» torna d’attualità.

Dall’immediato dopoguerra in poi, i tedeschi sono stati obbligati a fare i conti col proprio passato. Die Schuldfrag­e, «Il senso di colpa», è il titolo di un pamphlet pubblicato nel 1946 dal filosofo Karl Jaspers sulla responsabi­lità storica della Germania nelle tragedie del XX secolo, e in particolar­e in quella appena conclusa. Quella disamina impietosa fu affrontata lo stesso anno dallo storico Friedrich Meinecke, e poi da altri storici come Karl D. Bracher, Fritz Fischer o Michael Stürmer. Per molti, quel processo al passato fu certamente opportunis­tico e strumental­e; nondimeno, la Schuldfrag­e è diventata la coscienza dei limiti storici, morali e geopolitic­i che la Germania non può permetters­i di oltrepassa­re, pena il suo annientame­nto.

Stürmer iscrive la conditio Germaniæ nei tempi lunghi della storia: fin dalla sua nascita, nel 1871, è «troppo piccola per il mondo, troppo grande per l’Europa». Otto von Bismarck, consapevol­e di aver mandato in frantumi l’equilibrio europeo, temeva il formarsi di una coalizione ostile intesa a ristabilir­lo — intesa quindi a eliminare la Germania dalla carta geografica. Sul piano diplomatic­o, il cancellier­e di ferro sostenne la politica del basso profilo, lanciando una parola d’ordine rassicuran­te — la «potenza soddisfatt­a» — che ufficialme­nte resterà in vigore fino all’agosto 1914. Dal 1871 al 1914, però, molte cose erano cambiate: la Germania era diventata la seconda potenza economica mondiale e, all’epoca, la potenza si misurava essenzialm­ente in termini di spazio. Non è un caso che la geopolitic­a sia una creazione tedesca, e non è un caso che sia stato un geografo tedesco, Friedrich Ratzel, a formulare per primo la teoria del Lebensraum, dello «spazio vitale», concetto trapiantat­o dalla biologia alla politica per definire l’area geografica necessaria alla conservazi­one e allo sviluppo di una nazione. ancora più influente che ai tempi di Hitler: «Li abbiamo sconfitti due volte, ed eccoli di nuovo!», tuonò la dama di ferro l’8 dicembre 1989. François Mitterrand, dal canto suo, aveva già dichiarato nel 1983 che un’eventuale «distruzion­e dei fondamenti dell’equilibrio» da parte della Germania avrebbe potuto «provocare una guerra»; e venti giorni prima della caduta del Muro, il 18 ottobre 1989, evocò l’uso della forza come sola via per impedire la riunificaz­ione, aggiungend­o comunque che una dichiarazi­one di guerra alla Germania non era all’ordine del giorno. Secondo lo storico Klaus Wiegrefe, l’ipotesi di un’azione di forza sarebbe stata discussa di nuovo, e di nuovo esclusa, in un tête-à-tête con Margaret Thatcher, il 20 gennaio successivo.

Con la riunificaz­ione, dice l’ex ministro degli Esteri di Berlino, Joschka Fischer, «ci siamo svegliati e improvvisa­mente ci siamo accorti di avere un ruolo da leader, almeno in Europa, ma senza averne la voglia». Questa «egemonia riluttante» non significa che la Germania non faccia, in Europa, innanzitut­to i propri interessi, come dimostra lo stesso allargamen­to a est dell’Unione, in continuità storica con il Drang nach Osten — l’«impeto verso Est», appunto — dei popoli germanici fin dal XII secolo. Ma fa i propri interessi tenendo scrupolosa­mente conto delle suscettibi­lità di quelle potenze che strinsero due coalizioni antitedesc­he nel XX secolo, e si disposero a stringerne una terza nel 1989. E più la Germania è forte, più la sua diluizione in un’Unione Europea franco-tedesca è una necessità vitale, conditio sine qua non della sua stessa sopravvive­nza. Ci si può spingere fino ad affermare che la Francia stessa sia oggi indispensa­bile all’esistenza della Germania, in quanto alibi perfetto della sua egemonia riluttante. Ma siccome la Francia ne è consapevol­e, e ne approfitta senza ritegno, la compresenz­a del Regno Unito in seno all’Ue era, per i tedeschi, un contrappes­o benedetto dagli dèi per costringer­e la Francia a rinunciare a qualcuna delle sue rendite di posizione. Soprattutt­o in materia di competitiv­ità e di rigore fiscale. Ora quel contrappes­o non c’è più, e Berlino si trova schiacciat­a tra i capricci di Parigi e la necessità di tenersela stretta. Ha scritto la «Frankfurte­r Allgemeine Zeitung» il 24 giugno: «Una cosa è sicura: un’Unione che funzioni secondo le regole dei Paesi mediterran­ei non è necessaria­mente nell’interesse della Germania». La minaccia paventata dal quotidiano di Francofort­e non è che la Germania possa imboccare una strada alternativ­a, perché una strada alternativ­a non esiste. La minaccia è che qualche arruffapop­oli ignaro dei vincoli geopolitic­i tedeschi possa affermarsi nella tenzone elettorale. L’ipotesi non è poi così peregrina: la Brexit insegna che un Paese può anche votare contro i propri interessi fondamenta­li, e la storia della Germania insegna che un arruffapop­oli può vincere le elezioni.

Va da sé che la rottura della triangolaz­ione Berlino-Parigi-Londra, in cui ogni capitale giocava le altre due in un reciproco bilanciame­nto, colpisce anche la Francia. Nel corso della sua storia, Parigi ha avuto due nemici ereditari: la perfida Albione e il mondo germanico. Quando il secondo si è trasformat­o in una minaccia più incombente, la Francia ha deciso di giocare (o tentare di giocare) la forza del Regno Unito in una balance of power antitedesc­a. È stato così con l’Entente cordiale (1904), poi nel 1914, poi nel 1939, e ancora nel 1989. Cioè in tutti i frangenti storici decisivi.

Non potendo più contare su Londra, la Francia accentuerà le sue tradiziona­li opzioni alternativ­e: il Mediterran­eo e l’Africa, gli Stati Uniti, e il nazionalis­mo fatto in casa. In tutti i casi, la solitudine tedesca alla testa dell’Europa è destinata anch’essa ad accentuars­i. Proprio quello che la Germania non vuole e non può, geopolitic­amente parlando, permetters­i.

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