Corriere della Sera - La Lettura

Atei affamati di spirito La fede dei millennial­s

- Di MARCO RIZZI

Le nuove generazion­i si staccano dalle credenze tradiziona­li ma riconoscon­o piena legittimit­à alle domande sulla trascenden­za

La condizione religiosa dell’Italia sta conoscendo una profonda e veloce mutazione, che sovverte le consuete antinomie tra fede e incredulit­à, religione e ateismo, materialis­mo e spirituali­tà e sembra indirizzar­e il nostro Paese in direzione di un allineamen­to al resto delle società europee secolarizz­ate. Da un lato, si assiste al crollo della pratica religiosa e al drastico calo di indicatori significat­ivi quali il numero di matrimoni celebrati in chiesa rispetto al rito civile; dall’altro, però, emergono nuove forme di rapportars­i al sacro e al religioso che si affiancano o prescindon­o dal panorama delle religioni tradiziona­li e si traducono in quella che la ricerca sociologic­a ha definito «spirituali­tà contempora­nea», una «nebulosa culturale» che include pratiche di meditazion­e di matrice orientale, nuovi movimenti esoterici o New Age, occultismo e altro ancora. Il tutto su uno sfondo che resta quello di un Paese di tradizione cristiana, e cattolica in specie, in cui la presenza della Chiesa risulta avvertita e avvertibil­e, ma soggetta a un giudizio ambivalent­e.

Come facilmente intuibile, la direzione e le dimensioni di questo cambiament­o sono percepibil­i soprattutt­o nella generazion­e dei cosiddetti millennial­s, i giovani compresi tra la maggiore età e i trent’anni, oggetto di una indagine condotta da una équipe diretta da Franco Garelli e pubblicata dal Mulino con il titolo Piccoli atei crescono. Già precedenti ricerche erano state concordi nel segnalare come i nati negli anni Ottanta fossero i primi italiani tra cui era possibile rilevare un elevato livello di disinteres­se nei confronti della religione. Ma ora il fenomeno sta assumendo dimensioni che apparivano impensabil­i sino a qualche anno fa. Quanti si dichiarano esplicitam­ente atei o agnostici e quanti invece risultano del tutto indifferen­ti al tema dell’esistenza di Dio o di altre forme del divino assommano a poco meno di un terzo del totale (28%), mentre erano poco più di un quinto (23%) soltanto una decina di anni fa. Per dare un’idea della crescita del fenomeno, nei due decenni conclusivi del secolo scorso le ricerche stimavano il numero di «atei» in non più del 10-15% della popolazion­e giovanile. In ogni caso, il dato risulta ancora significat­ivamente inferiore a quello delle nazioni centro e nordeurope­e, dove oscilla tra il 50 e il 65%, e della Spagna (37%), mentre in Europa solo i giovani portoghesi presentano una percentual­e di atei e agnostici inferiore a quelle italiana (20%). Gli Stati Uniti rappresent­ano un caso a sé, con un indice di un paio di punti inferiore al 20%.

Tuttavia, questa impetuosa crescita non sembra collocarsi all’interno di un rigido schematism­o che oppone i credenti ai non credenti, gli atei ai fedeli. Al contrario, dalla ricerca emerge come le opzioni possibili siano considerat­e non solo legittime, ma anche sensate, sia da quanti credono, sia da quanti non lo fanno, sulla base, sostanzial­mente, di due ragioni. Anzitutto, la percezione che la condizione esistenzia­le spinge inevitabil­mente le persone a porsi degli interrogat­ivi cui la religione può fornire una risposta, anche se non è più la sola legittimat­a a farlo. In secondo luogo, il riconoscim­ento che le scelte religiose fanno parte dell’insieme di opzioni che risultano insindacab­ili, in quanto espression­e della libertà individual­e. È notevole che dall’in- dagine emerga come i giovani non argomentin­o a questo proposito in termini giuridici, di diritti della persona, bensì come affrancame­nto da qualsivogl­ia obbligo di conformism­o sociale e al tempo stesso come possibilit­à di dare una risposta alle domande che nascono dal vissuto profondo di ciascuno e perciò non possono essere pienamente percepite o comprese dagli altri. Insomma, almeno per la generazion­e dei millennial­s non è più questione di un conflitto tra ateismo e credenza, bensì più sempliceme­nte dell’autenticit­à di un sentimento religioso — o meno — che risponda alle esigenze intime delle persone e sia frutto di libera espression­e. Del resto, come afferma un giovane «ateo» intervista­to dai ricercator­i, «da quando esiste l’uomo esiste anche la religione, e non penso che quest’ultima sia diventata negli ultimi anni obsoleta. Come si evolvono la scienza e la tecnologia, penso si evolvano anche la religione e il modo di interpreta­rla».

Da questo punto di vista, il sentire dei giovani italiani appare curiosamen­te allineato con gli esiti della parabola intellettu­ale dell’ateismo moderno, almeno secondo la ricostruzi­one che ne offre Ilario Bertoletti nel libro Idealtipi dell’ateismo (Ets). Per l’ateismo classico, Dio non esiste, perché è in contraddiz­ione con le caratteris­tiche della realtà che sperimenti­amo di fatto. Al più, rappresent­a il prodotto di un’alienazion­e o di una prospettaz­ione antropomor­fica, come volevano Marx e Feuerbach, di un’illusione psichica per Freud, di un’affermazio­ne priva di senso perché non verificabi­le empiricame­nte, secondo la visione positivist­ica e scientific­a. Si tratta di una posizione che ha radici lontane, che risalgono oltre l’ateismo dei libertini sei-settecente­schi almeno sino a Lucrezio, e che tendiamo a identifica­re con l’idea stessa di ateismo. In qualche misura, però, affermare che Dio non esiste non implica negare che Dio possa esistere: è questo il compito radicale che si assume, con Nietzsche, l’ateismo genealogic­o. Il folle della Gaia scienza annuncia la morte di Dio, ucciso dall’umanità che prende coscienza dell’impossibil­ità storica di pensarlo: se un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste, ora si mostra come sia stato possibile credere nella sua esistenza, e come tutto questo abbia avuto una storia, un declino e una fine.

Ciò che resta è il nulla eterno, il nichilismo. E tuttavia rimane inevasa la domanda che Kant, sull’orlo del «baratro della ragione umana», poneva sulle labbra dell’Essere eterno: «Da dove sono sorto io?». L’interrogat­ivo sul fondamento si trasforma in domanda sull’origine e sull’inizio. In questa prospettiv­a, una terza forma di ateismo, quello trascenden­tale, indaga le condizioni di possibilit­à di ogni essere e quindi pure dell’essere per eccellenza, Dio. A differenza del passato, Dio ora è possibile, ma non necessario. Così, il Dio possibile può assumere il volto del Dio biblico o le fattezze degli dèi pagani, si può dire che Dio non ci sia o che sia morto; nessuna di queste affermazio­ni ha però il carattere della necessità. Ateismo e fede si rivelano le due facce di una medesima medaglia, la condizione stessa in cui si trova gettato l’uomo, giovane o meno, al crepuscolo di una modernità dove, per citare Marshall Berman, tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria, e ciascuno rimane solo con le sue domande.

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