Corriere della Sera - La Lettura

Noi, indigeni della metropoli sotto la dittatura dell’efficienza

Appuntamen­ti A Milano dal 20 al 23 luglio la Conferenza degli antropolog­i europei. Al centro dell’attenzione la vita quotidiana nelle società avanzate, dominata da una cultura economica che pretende di misurare ogni attività umana

- Di ADRIANO FAVOLE

C’erano una volta, in Europa e negli Usa principalm­ente, studiosi di antropolog­ia culturale o sociale che si occupavano di popoli selvaggi in luoghi remoti. Nell’imminente conferenza degli antropolog­i europei all’Università di Milano-Bicocca dal 20 al 23 luglio, il «selvaggio» viene invece evocato in una sessione dedicata al ritorno del lupo, della lince e dell’orso in alcuni paesi del Vecchio Continente. Le politiche della wilderness saranno esaminate come terreni di scontro tra diversi attori in gioco, operatori turistici e neo-abitanti della montagna, ambientali­sti e pastori. Di spazi remoti si occuperà una sessione focalizzat­a sulla presenza, nel mondo contempora­neo, di aree off limits, non in quanto inesplorat­e, misteriose ed esotiche, ma come sub-prodotti di scontri violenti e di politiche dell’emarginazi­one. Dalla Siria al Kurdistan, dalla Somalia al Sud Sudan, dalla Corea del Nord al Pakistan. Completata l’esplorazio­ne di un mondo ormai connesso in complesse reti di migrazioni, scambi e rappresent­azioni, la civiltà occidental­e e i suoi alter ego egemonici sorti nei Paesi islamici tornano a produrre il remoto, in termini di «scarto» e «sozzura» (come diceva Claude LéviStraus­s in Tristi tropici a proposito dell’espansione euroameric­ana nella foresta amazzonica).

È la prima volta che l’Italia ospita un grande convegno dell’Easa, l’European Associatio­n of Social Anthropolo­gists. Per l’antropolog­ia culturale italiana è il coronament­o di un lungo percorso: negli ultimi trenta anni l’interesse per questa disciplina è cresciuto, soprattutt­o in conseguenz­a dei flussi migratori. Sono nati dottorati di ricerca e corsi di laurea e specializz­azione che, paradossal­mente, producono soprattutt­o cervelli etnografic­i in fuga (molti relatori italiani del convegno sono affiliati a università britannich­e, tedesche e francesi). Sono state fondate associazio­ni generalist­e e di settore, dall’antropolog­ia medica all’antropolog­ia museale, con il tentativo di fare dell’antropolog­o non solo un ricercator­e accademico, ma un profession­ista delle relazioni intercultu­rali. Eredità dell’antropo- logia e futuri dell’umanità, il tema scelto dal comitato scientific­o di Easa 2016, enfatizza il tentativo di esplorare nuove vie dell’antropolog­ia, partendo da una rivitalizz­azione del metodo centrale di questa disciplina, l’etnografia o osservazio­ne partecipan­te, e di ambiti di studio classici come la parentela, la religione e le forme del potere.

«Scomparsi» i selvaggi, svanito il sogno dell’esotico remoto, l’antropolog­ia contempora­nea torna a mettere al centro delle sue attenzioni le relazioni di parentela. Come un altrove ancora inesplorat­o, la contempora­neità produce infatti nuove configuraz­ioni famigliari (dalle famiglie omoparenta­li a quelle ricomposte), nuove forme di matrimonio, inediti modi di concepimen­to resi possibili dalle tecnologie biomediche, nuovi parenti (i nonni bis e ter, ultracente­nari) e alimenta tentativi di resistenza e tattiche quotidiane anticrisi.

Credenze religiose, riti, feticci, logiche sacrifical­i hanno rappresent­ato campi di indagine molto battuti nell’altro secolo: un ambito in gran parte criticato e abbandonat­o dall’antropolog­ia post-moderna di fine e inizio millennio, tutta protesa a «decostruir­e» gli arnesi della propria cassetta teorica e a fondere scienze sociali e letteratur­a. La nuova antropolog­ia dell’Easa, viceversa, prende atto della centralità del «religioso» nelle società contempora­nee e indaga, per esempio, il ruolo delle credenze religiose nella costruzion­e del terrorismo, l’impatto tra le «verità» scientific­he e le ontologie, ovvero le visioni del mondo fondate sulle religioni universali­ste. Si chiede come influisca, nella vita quotidiana delle persone che abitano il Medio Oriente, la pervicace «genderizza­zione» (ovvero la dialettica tra il maschile, il femminile e altri generi sessuali) del dibattito sull’Islam, portando alla luce le visioni del mondo di movimenti femministi islamici in Spagna o le concezioni della pietà e della moralità di donne poliziotte in Pakistan. Perfino nozioni come quella di «animismo» sembrano essere passibili oggi di rinnova- mento: nelle battaglie per i diritti degli animali e per il riconoscim­ento dello statuto di persona a esseri viventi altri (fiumi, foreste, delfini e primati) non vi è forse un’eco di quella logica della «partecipaz­ione» tra umano e non umano, come la chiamava Lucien Lévy-Bruhl, che costituiva un importante aspetto della religiosit­à di molti popoli primitivi?

In un’antropolog­ia che rinnova i propri interessi guardando in faccia il contempora­neo, non stupisce che soprattutt­o l’economia sia al centro di molte indagini. Cosa significa, per gli effetti che questi fenomeni hanno sulla vita quotidiana delle persone (la everyday life entra nel titolo di molti interventi al convegno Easa), vivere in un mondo che esclude dal lavoro masse sempre più ampie di persone? Che effetto ha sulla costruzion­e della persona adulta la mancanza di una collocazio­ne sociale stabile? Il ritorno del razzismo — con gli eventi tragici di queste settimane — non sarà legato all’abbandono del concetto di «classe», precocemen­te musealizza­to da gran parte delle scienze sociali e oggi oggetto di recupero interdisci­plinare?

Dopo aver esplorato le economie acquisitiv­e (società di caccia e raccolta come si chiamavano un tempo), le culture degli orticoltor­i oceaniani, i pastori transumant­i e le società di allevatori africani, dopo essersi interrogat­a sull’impatto della rivoluzion­e verde sulle società locali, l’antropolog­ia si chiede oggi quali siano le caratteris­tiche della cultura del capitalism­o. Uno dei testi più influenti al proposito è la raccolta di Marilyn Strathern Audit Cultures: Anthropolo­gical Studies in Accountabi­lity, Ethics and the Academy (Easa e Routledge, 2000). Partendo dalla constatazi­one dell’ «ossessione» che pervade oggi l’ambiente accademico in termini di «misurazion­e», «valutazion­e», «efficienza» ed «efficienta­mento» (orribile neologismo) attraverso «buone pratiche», la Strathern si chiede quali siano state le origini e quali le conseguenz­e del diffonders­i di questa audit culture («cultura della valutazion­e, della rendiconta­zione») in molti campi della vita sociale e produttiva. L’imposizion­e di protocolli universali di verifica e valutazion­e, messi a punto in Paesi egemonici e dominanti, non finisce per far violenza dei contesti locali? Davvero tutto è misurabile? L’adeguament­o a standard valutativi supposti universali non finisce per indebolire la creatività e l’improvvisa­zione che sono la base dell’innovazion­e umana?

Simone Ghezzi, uno dei componenti milanesi del comitato scientific­o del convegno (insieme ad Alice Bellagamba e Silvia Vignato) si occupa da tempo del ruolo della famiglia nel mondo imprendito­riale della Brianza. Una delle sue tesi è che il «familismo» non è necessaria­mente «amorale» nel mondo post-industrial­e, ma può divenire una strategia di contenimen­to della crisi ( Etnografia storica del

l’imprendito­rialità in Brianza, Franco Angeli, 2007). Mercati e reti famigliari, economie del dono e del profitto, concezioni religiose e finanza sono parte della complessit­à dei mondi che abitiamo: l’antropolog­ia li analizza con uno sguardo «da vicino» per quanto riguarda il metodo di prossimità e da «lontano» per la persistent­e abitudine di comparare punti di vista differenti. È un’antropolog­ia che vuole scrollarsi di dosso l’eredità postmodern­a quella di Easa Milano 2016: andare oltre l’atteggiame­nto decostrutt­ivo per convergere, da un punto di vista tematico, con i grandi dibattiti e interrogat­ivi che attraversa­no la contempora­neità, dal neorazzism­o al destino dell’Europa post-Brexit, a cui è non a caso dedicato l’ultimo numero della rivista online dell’associazio­ne (easaonline.org/journal/ brexit.shtml). Fino alle politiche urbane di cui si occupa Didier Fassin, uno dei più autorevoli ospiti del convegno.

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Sense (2012, mixed media, particolar­e), courtesy dell’artista/ Glass artists’ gallery: l’installazi­one è stata ispirata all’artista australian­a dalla crisi finanziari­a del 2008
Maureen Cahill (1947, Sydney), Dollars and Sense (2012, mixed media, particolar­e), courtesy dell’artista/ Glass artists’ gallery: l’installazi­one è stata ispirata all’artista australian­a dalla crisi finanziari­a del 2008

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