Corriere della Sera - La Lettura

Il mio Caproni, stakanovis­ta in tram

Sobrio e anonimo nel vestire, lo annoiavano i salotti letterari Aveva una corazza di riservatez­za, e un’anarchia inconsapev­ole

- di ANTONIO DEBENEDETT­I

Sono state poche parole spese con sapienza da Luigi Surdich, nella recente ristampa einaudiana del Terzo libro di Giorgio Caproni, a riaccender­e in me il ricordo «dell’eccezional­e immagine di Annina (Anna Picchi), la madre-fidanzata» che ci venne incontro nei versi incantati del Seme del piangere quando lo leggemmo ancora ragazzi nel 1959. Studente di Lettere, assiduo alle lezioni di Ungaretti, quella straordina­ria figura femminile mi emozionò e un poco mi turbò. Ricordo che cercavo di convincere la mia fidanzata d’una lontana o anche lontanissi­ma, non per questo però meno inquietant­e parentela di Annina con le dark lady delle nostre più avide letture adolescenz­iali.

Sono andato così a rileggere nei giorni scorsi quei versi di Giorgio Caproni non con gli occhi d’un critico che non sono e non voglio essere ma d’un inna- morato di Annina, perché ci vuole poco a innamorars­i di una così. Di una che «Dischiusa la camicetta/ volava, in bicicletta». Che sapienza c’è in quella virgola, che poteva non esserci, dopo volava! Un innamorato, come io sono di Annina, ha diritto di sbagliare, di esagerare, di appassiona­rsi, di fraintende­re e soprattutt­o di vedere anche quello che non c’è. Prendo, quasi a caso, alcuni versi: «Mia mano, fatti piuma:/ fatti vela; e leggera/ muovendoti sulla tastiera,/ sii cauta. E bada, prima/ di fermare la rima,/ che stai scrivendo d’una/ che fu vera e fu viva».

Anna Picchi è certamente uno dei più grandi personaggi femminili inscenati nel nostro secondo Novecento, lo è anche perché alle parole che la descrivono si mescola una leggerezza che non è di questa vita. Una leggerezza che la pone tra cielo e terra. Io mi fermo, chiedendo perdono d’aver osato il forse improbabi- le confronto con le dark lady così lontane oltretutto dalla nostra tradizione.

Chi era davvero Caproni? Che aveva in testa? Si avvertiva la necessità per capirlo, dichiarata anche da Pasolini suo amico della prima ora, di fargli il ritratto. Di far dire a quel ritratto, scritto badando di ridurre al minimo gli aggettivi, d’un poeta che somigliava a un uomo, d’un poeta che si portava dentro un uomo che ritagliava dai suoi sogni, dalle sue ispirazion­i quanto resisteva alla tentazione di farsi poco, di farsi nulla.

Giorgio Caproni e Roma, ecco una rima impossibil­e: talmente impossibil­e da poter suggerire, a esserne capaci, uno strano e divertente racconto giocato sulla reciproca incomprens­ione.

Il poeta oggi forse più gettonato del secondo Novecento italiano — una stu-

Affetti Amava la madre Anna e, in modo altrettant­o prepotente, la moglie Rina. I figli erano in cima ai suoi pensieri senza essere familista L’incontro Lo vidi l’ultima volta nel 1988, a casa sua. Nello studio cercai le tracce del successo ma trovai solo la nostalgia e il malumore

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