Corriere della Sera - La Lettura

Il quotidiano senza curarsi dell’eterno

La nuova raccolta di Alida Airaghi esce, ancora una volta, da un piccolo editore: un racconto premuroso di figli e amanti, oggetti e animali, alberi che aspettano «lo squillo festoso dell’estate»

- Di ROBERTO GALAVERNI

Aogni suo ritorno Alida Airaghi continua ad apparire come una scrittrice in qualche misura nuova. La scelta di pubblicare non solo poco, ma da piccoli e comunque selezionat­i editori, sembra infatti averla preservata dagli automatism­i e dalla prevedibil­ità che finiscono quasi sempre per irrigidire la definizion­e pubblica di un poeta. Già a inizio millennio un estimatore eccellente della sua poesia, Alfonso Berardinel­li, poteva allora ricordarla come un esempio «di poeta realmente esistente ma quasi introvabil­e, perché editorialm­ente in esilio». Compresa nel 1984 nella terza silloge dei

Nuovi poeti italiani curata da Walter Siti per Einaudi, è stata inclusa quasi trent’anni dopo, nel 2012, anche nel sesto volume della stessa collana (curato questo da Giovanna Rosadini). Sempre «nuova», dunque. Se non si tratta solo di un caso, se ne potrebbe dedurre che l’esilio editoriale, quando elettivo, mantenga comunque una presenza giovane e fresca. Leggendo ora il nuovo libro dell’Airaghi,

Elegie del risveglio, uscito dal piccolo editore marchigian­o Sigismundu­s, viene subito da chiedersi se qualcosa della particolar­e figura dell’Airaghi trovi corrispond­enza nella natura della sua poesia. Credo che si possa rispondere tutto sommato affermativ­amente, perché la visione, ma diciamo pure l’ideologia a cui questi versi fanno capo, contrappon­e in modo molto netto, quasi dualistico, la forza, la positività, la qualità anche etica della nuda vita, cioè della vita elementare, basica, nascosta, della vita che sempliceme­nte e irresistib­ilmente accade, alla inutile, triste edificazio­ne delle impalcatur­e esistenzia­li, alla contraffaz­ione dei gesti e dei sentimenti, allo sviamento del rapporto con se stessi e con gli altri, al sormontare della prudenza, del calcolo, dell’ostilità, della paura. Detto altrimenti: alla vittoria di tutto ciò che risulta estrinseco e inessenzia­le rispetto alla parte migliore dell’uomo. Viene subito in mente quella importante linea di poesia più o meno creatu- rale che ha attraversa­to il Novecento italiano arrivando fino al presente, da Saba a Penna alla Cavalli alla Donati. E vengono in mente anche, ovviamente, narratrici come l’Ortese o la Morante, con la sua drammatica opposizion­e tra la storia e la Storia.

Qual è allora, dentro a queste coordinate per altro molto ampie e diversific­ate, il tratto più specifico di questa poesia? Il «quotidiano esserci del mondo», così viene definito quello che costituisc­e qui sia un ambito di orientamen­to esistenzia­le, sia un motivo d’ispirazion­e poetica. La presenza, l’immediatez­za, l’evidenza, la sacertà del mondo animato, la coincidenz­a di corpo e spirito, qui ed ora, cioè «senza curarci dell’eterno» o di «sconosciut­e dimensioni» — è questo che l’Airaghi intende mettere a fuoco e celebrare. Eppure i modi, che propriamen­te dovrebbero essere quelli del canto, della lode, del ringraziam­ento, appaiono spesso e vo- lentieri quelli della rivendicaz­ione o del riscatto. La postura è celebrativ­a almeno quanto difensiva. Anche dal punto di vista ritmico e musicale — l’intonazion­e decisa, le sonorità marcate, la punteggiat­ura fitta e distintiva — il discorso poetico appare sempre reattivo e come allertato, mai sintonizza­to su una possibile naturalezz­a del dire. E questo riduce al minimo il rischio dei buoni sentimenti, inevitabil­mente presente in una poesia di questa impostazio­ne. Nessuna ingenuità, quanto invece volontà e decisione. L’idillio, se c’è, sarà comunque un idillio in armi.

Il libro ha dimensioni contenute, ma è concepito comunque come una microscopi­ca opera mondo. Basta seguire le dieci sezioni su cui viene scandito per avere un’idea dei temi o delle situazioni a cui la poetica del risveglio viene via via applicata: Risvegli, Amanti, Figli, Vegetali, Animali, Cose, Eroi, Artisti, Geni, Innocenti. E anche se nel pieno dell’atto poetico è difficile distinguer­e tra i due momenti, nel complesso direi che l’Airaghi dia il suo meglio quando è in armi per difendere piuttosto che per attaccare; o comunque quando pacificazi­one e scontro, canto e rivendicaz­ione, esultanza e allarme si equilibran­o prendendos­i le misure a vicenda. Accade infatti che questo equilibrio qui e là si rompa, e che possa prevalere allora l’agiografia (come nella sezione Eroi), oppure un tratto risentito e aggressivo, quello indirizzat­o contro il nemico, che finisce per contraddir­e quella specie di capacità di comprensio­ne e di consapevol­ezza, meglio ancora, di serena e compiuta autocoscie­nza connaturat­a alla materia del mondo, di cui la poesia dell’Airaghi intende e sostanzial­mente riesce a dar conto. Proprio in questo ambito, si trovano alcuni passaggi davvero risolti e persuasivi. Sulle cose, ad esempio: «Non sanno rifiutare, gli oggetti; dire di no/ alle pretese indelicate di noi che li afferriamo, li consumiamo/ senza ringraziar­e, senza scusarci, abusandoli». O ancora sugli amanti e i loro corpi e gesti, sull’esempio degli animali, sull’insegnamen­to offerto dalla vita delle piante: «Ma gli alberi del parco conoscono in che modo/ vestiranno i rami secchi dell’inverno, e attendono/ con fede il primo chiaro a marzo. Così loro premio/ è il tenero verde, lo sbocciare di foglie timorose/ già pronte allo squillo festoso dell’estate».

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