Corriere della Sera - La Lettura
Conversazione in famiglia con spiragli di sole
La silloge di Pierangela Rossi celebra la «banale» bellezza di un universo privato
Da decenni si vive nella mutevolezza di stagioni rovesciate, incolpando l’effetto serra. È l’abitudine a rendersi capaci di tollerare accadimenti metereologici sgradevoli o inverni senza neve. Ci si è fatti il callo ai morti per diluvi, frane, alluvioni e altri dissesti idrogeologici.
Tutto appare spalmato come sciolto burro su una fetta biscottata nel solco della globalizzazione di un pianeta bruciato e ormai ubriaco per l’eccesso di presenza umana. Anche gli anni sembrano passare tra la noia di un cielo indistinto e laceranti incubi atmosferici. Mentre l’aria fresca, benefica, emozionante, da respirare a pieni polmoni, risulta essere quella del condizionatore casalingo, di un refrigerato bus, tram o metropolitana, di un pullulante ipermercato.
Con sarcasmo, infantile stupore e desiderio in ogni caso di accettazione degli eventi Pierangela Rossi ha voluto calarsi nel ruolo dell’osservatore comune e ha tessuto un diario in frammenti, appunti presi tra l’inverno 2013 e la primavera 2015 con tanto di data e ora precisa, confluiti nella raccolta poetica Carte del tempo (Campanotto). Per chi abbia presente le precedenti sette sillogi edite, vissute ai mar- gini del regno senza confini dell’assoluto, e lo stile visionario e oracolare dell’autrice, nata a Gallarate (Varese) nel 1956, sorprende l’inattesa trasparente semplicità delle scelte lessicali e il tema proposto di una conversazione in famiglia, apparentemente banale, sul munirsi o meno di ombrello per uscire di casa.
I personaggi, chiamati ad interagire e a dissertare sulle previsioni meteo, appartengono al nucleo familiare: il marito Paolo, la figlia Chiara e la stessa Pierangela, un terzetto dai grandi affetti. Non siamo certo dinanzi a un poema, ma a intensi lacerti di luce, spiragli da cui si riesce a intravedere il sole. Una mappa, oscurata dal quotidiano incalzante, ove a tratti si scopre l’atto della contemplazione con nettezza di segno teso verso una luce più accesa di quella che l’occhio neppure può giungere ad immaginare. Sono tracce di eterno e presenza del sacro. In ogni testo, simile a un filo invisibile di un gomitolo che si srotola, Dio è presente, pur se il cielo pare ritirarsi verso l’alto, si nega, sorpreso di fronte allo svolgersi assurdo delle umane vicende.
Così sorge la domanda: «Bella giornata/ di sole arabescato/ a tratti incompiuti/ incompresi/ con quale criterio/ la maestà divina/ dispensa lutti/ e gioie del tempo?». L’autrice sembra aver preso coscienza che l’uomo d’oggi, straziato dalla tragedia della propria solitudine e dalla sfiducia disperante nell’esistere, cominci ad aver orrore di se stesso e delle proprie azioni, in un momento dove tutto diviene oggetto di consumo e nulla più.
È come se Pierangela Rossi stesse meditando di abbandonare la poesia verso una possibile prosa con andamento ritmico. Per il momento ha lanciato una granata sul tavolo del proprio laboratorio creativo. E il frammentarismo, la fulminea brevità dei testi, ne è la più logica conseguenza.