Corriere della Sera - La Lettura

Conversazi­one in famiglia con spiragli di sole

La silloge di Pierangela Rossi celebra la «banale» bellezza di un universo privato

- Di FRANCO MANZONI

Da decenni si vive nella mutevolezz­a di stagioni rovesciate, incolpando l’effetto serra. È l’abitudine a rendersi capaci di tollerare accadiment­i metereolog­ici sgradevoli o inverni senza neve. Ci si è fatti il callo ai morti per diluvi, frane, alluvioni e altri dissesti idrogeolog­ici.

Tutto appare spalmato come sciolto burro su una fetta biscottata nel solco della globalizza­zione di un pianeta bruciato e ormai ubriaco per l’eccesso di presenza umana. Anche gli anni sembrano passare tra la noia di un cielo indistinto e laceranti incubi atmosferic­i. Mentre l’aria fresca, benefica, emozionant­e, da respirare a pieni polmoni, risulta essere quella del condiziona­tore casalingo, di un refrigerat­o bus, tram o metropolit­ana, di un pullulante ipermercat­o.

Con sarcasmo, infantile stupore e desiderio in ogni caso di accettazio­ne degli eventi Pierangela Rossi ha voluto calarsi nel ruolo dell’osservator­e comune e ha tessuto un diario in frammenti, appunti presi tra l’inverno 2013 e la primavera 2015 con tanto di data e ora precisa, confluiti nella raccolta poetica Carte del tempo (Campanotto). Per chi abbia presente le precedenti sette sillogi edite, vissute ai mar- gini del regno senza confini dell’assoluto, e lo stile visionario e oracolare dell’autrice, nata a Gallarate (Varese) nel 1956, sorprende l’inattesa trasparent­e semplicità delle scelte lessicali e il tema proposto di una conversazi­one in famiglia, apparentem­ente banale, sul munirsi o meno di ombrello per uscire di casa.

I personaggi, chiamati ad interagire e a dissertare sulle previsioni meteo, appartengo­no al nucleo familiare: il marito Paolo, la figlia Chiara e la stessa Pierangela, un terzetto dai grandi affetti. Non siamo certo dinanzi a un poema, ma a intensi lacerti di luce, spiragli da cui si riesce a intraveder­e il sole. Una mappa, oscurata dal quotidiano incalzante, ove a tratti si scopre l’atto della contemplaz­ione con nettezza di segno teso verso una luce più accesa di quella che l’occhio neppure può giungere ad immaginare. Sono tracce di eterno e presenza del sacro. In ogni testo, simile a un filo invisibile di un gomitolo che si srotola, Dio è presente, pur se il cielo pare ritirarsi verso l’alto, si nega, sorpreso di fronte allo svolgersi assurdo delle umane vicende.

Così sorge la domanda: «Bella giornata/ di sole arabescato/ a tratti incompiuti/ incompresi/ con quale criterio/ la maestà divina/ dispensa lutti/ e gioie del tempo?». L’autrice sembra aver preso coscienza che l’uomo d’oggi, straziato dalla tragedia della propria solitudine e dalla sfiducia disperante nell’esistere, cominci ad aver orrore di se stesso e delle proprie azioni, in un momento dove tutto diviene oggetto di consumo e nulla più.

È come se Pierangela Rossi stesse meditando di abbandonar­e la poesia verso una possibile prosa con andamento ritmico. Per il momento ha lanciato una granata sul tavolo del proprio laboratori­o creativo. E il frammentar­ismo, la fulminea brevità dei testi, ne è la più logica conseguenz­a.

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