Corriere della Sera - La Lettura
La lunga durata dell’Informale
La corrente non scomparve nel 1963, spazzata via dalla Pop Art. Le sue due anime — dialogo col naturale, crisi esistenziale — sono vive. Come dimostra la rassegna che Roma dedica a Vasco Bendini
Ma l’Informale è scomparso davvero nel 1963, cancellato dalla Pop Art esposta alla Biennale di Venezia nel 1964, oppure è una lingua, un sistema di ideologie, di concezioni del mondo, ancora ben vivo? Per rispondere vediamo alcuni fatti. A Roma, all’Accademia di San Luca, una mostra dal titolo Bendini ul
timo (2000-2013) propone una pittura delicata e sublime, la tela come schermo sul quale si proiettano nuvole di colore, ma anche nuclei materici; qui, scrive Fabrizio d’Amico, «la luce è l’autentico demone delle opere».
Vasco Bendini , bolognese (1922-2015), è stato forse il maggiore attore del gruppo «Gli ultimi naturalisti», così definiti da Francesco Arcangeli nel 1954 su «Paragone». Dunque i pittori, da Mandelli a Moreni, da Vacchi a Romiti ed altri ancora, proponevano un dialogo col naturale, una esperienza sofferta, esistenziale dei luoghi e del tempo e Bendini, grazie a un intenso dialogo con la critica, da Argan a Menna, da Calvesi a Tassi a Gualdoni a Castagnoli, rimane protagonista di un dipingere che va oltre la rappresentazione, un dipingere meditato sulle scritture da Mathieu a Sima e, ancora, attento alla contemplazione Zen e alla Teosofia.
Insomma, una storia diversa dagli altri naturalisti che Giovanni Testori propone a Milano facendo perno su Ennio Morlotti, del quale esalta il dialogo con Cézanne e la sensualità del paesaggio ma anche la tensione corrosa delle figure, come nel ciclo ultimo delle Bagnanti. Dunque due tradizioni dell’Informale a Bologna e Milano a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, dove i protagonisti, in Lombardia, vanno da Scanavino ad Alik Cavaliere e a Ghinzani, i due ultimi fra i maggiori scultori del ’900.
Insomma, la domanda è ancora quella: l’Informale chiude la sua storia oltre mezzo secolo fa oppure le sue ideologie contrapposte — da una parte il recupero di un nuovo dialogo col naturale, dall’altro la crisi esistenziale che caratterizza molte di queste ricerche — conservano una attualità di lunga durata?
Credo che altre mostre aperte ancora oggi, o chiuse da pochissimo, suggeriscano una storia molto diversa. Una grande rassegna di tempere e disegni di Renzo Ferrari,
Le carte e i giorni 1958-2016, alla Fondazione Stelline di Milano, propone una scrittura corrosiva, dove l’intensità del segno muove dalla cultura milanese degli anni Cinquanta e si sviluppa scoprendo la grafia di Kubin e quella di Klinger, ma anche la corrosione di Francis Bacon e la cattiveria di Sutherland (Elena Pontiggia), insomma un pittore svizzero che mantiene, anche nei dipinti, la grande forza della pittura «di materia» del secondo dopoguerra.
La donazione Carlo Damiano al Mart di Rovereto di un importante gruppo di opere di Mario Raciti ci fa scoprire un altro protagonista dell’arte a Milano. Nelle opere tra
fine 50 e i 60 la delicatezza del segno, il vibrare delle pennellate, la capacità di dominare lo spazio con levità si unisce a un intenso dialogo con Miró e con Paul Klee, con Arp e con Melotti. Ricordo qui un grande pittore, scomparso da qualche anno, Pierluigi Lavagnino, che ha una lunga storia di densi, baluginanti paesaggi alla Turner: di lui molto ancora si dovrà dire.
Importante è poi la mostra Natura Luce. Visioni di Attilio Forgioli sul paesaggio del
l’Alto Garda, che propone un nuovo modo di raccontare i luoghi. L’artista inizia andando lungo le rive del lago, si porta un piccolo quaderno di schizzi dove disegna a matita solo poche linee guida, strutture e, da quelle, per lui indispensabile punto di partenza, eccolo articolare in studio i pastelli, in genere ad olio su carta, nuclei di forme isolate nello spazio bianco, dove i Ci
pressi, o il Lago di Tenno, la Linea dell’acqua o la Cascata del Varone, sono forme sospese in un grande vuoto, lo spazio della memoria, come in Rothko oppure in Fautrier. Ecco ancora il Museo oppure la Torre
campanaria, il variare delle stagioni sul lago oppure una Roccia, insomma la tensione del tempo. Sono queste le giornate del lungo viaggio di Forgioli sul lago dove gli spazi dilatano e le linee forza dei disegni diventano grigi dossi segnati dal colore, nu- clei materici al centro del foglio, forme come apparizioni.
Queste mostre suggeriscono una riflessione più articolata e complessa. Negli anni fra i 50 e 60 si intrecciano, nel paesaggio artistico italiano, tracce diverse, quelle della ricerca materica francese da Fautrier a Dubuffet, da Burri a Tàpies; quelle delle «scritture», da Michaux a Sima; ma emergono anche attenzioni precise alle culture orientali, degli americani Cy Twombly e di Mark Tobey sopra tutti, senza poi dimenticare il peso dello Abstract Expressionism.
Eppure, nonostante il confronto di queste diverse ideologie, «Gli ultimi naturalisti» di Francesco Arcangeli e i pittori e scultori dell’Informale a Milano hanno continuato a fare proseliti. Insomma, mentre la lingua informale diventa in molti casi semplice grafia, in altri prosegue un dialogo col vero, col naturale, come i nuclei di Forgioli, i cieli vibranti di Lavagnino, le sculture, intense come i cieli di Rothko, di Ghinzani.
Certo, se consideriamo l’Informale come grafia, allora Georg Baselitz e Anselm Kiefer paiono appartenere a quella stessa tradizione ma lì, lo sappiamo, il peso dell’Espressionismo ha una valenza importante. Dunque le lingue dell’Informale sono vive e di lunga durata, e vanno ben oltre i pochi lustri dal dopoguerra in poi: molti critici dunque hanno saputo capire quel momento storico di grande innovazione e continuare a leggerlo nel presente. Così gli artisti che abbiamo citato appaiono fra i maggiori, spesso dimenticati protagonisti di una nostra nuova, significativa identità europea.
Vasco Bendini Il pittore bolognese fu il maggiore tra «Gli ultimi naturalisti»: la sua tela è uno schermo sul quale si proiettano nuvole di colore Attilio Forgioli I percorsi del Garda sono l’esempio di un nuovo modo di narrare i luoghi: nuclei materici si svelano al centro del foglio