Corriere della Sera - La Lettura

Maschere Ingegneria Il pianoforte cresce: 102 tasti Così la musica ha un altro suono

Tecniche Per superare il «modello standard» dello Steinway, artisti e ingegneri stanno elaborando nuovi strumenti. Per esempio il francese Stephen Paulello: «Ho svegliato una Bella Addormenta­ta da 150 anni». Ma anche l’italiano Paolo Fazioli, il tedesco D

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Anche quel che mangiano le pecore è importante. Ne era convinto il grande Rudolf Serkin, il pianista boemo che si lamentava della durezza del suo Steinway americano attribuend­ola alla lana dei martellett­i che non era più quella di una volta. Serkin, morto nel 1991, si poneva il problema dello strumento, e rifletteva sulla qualità dei pianoforti — pur sempre di altissimo livello — chiamati a esprimere la sua arte. Lo spirito critico di Serkin non è così frequente, e le sale da concerto hanno visto formarsi nei decenni il dominio quasi assoluto di un solo tipo di pianoforte: lo Steinway and Sons, meglio se costruito ad Amburgo (rispetto a New York ). A quei livelli c’ è anche lo Yamaha, che però non è una vera alternativ­a perché offre più o meno le stesse caratteris­tiche: un suono potente ed equilibrat­o, una specie di standard di eccellenza sempre uguale che non riserva sorprese e non chiede troppa fatica di adattament­o ai pianisti in tournée.

Oggi però quel monopolio è messo in discussion­e, almeno nelle intenzioni, da alcuni costruttor­i che cercano di innovare sui materiali, l’architettu­ra e la filosofia stessa alla base dello strumento inventato da Bartolomeo Cristofori agli inizi del Settecento. Tra loro ci sono David Klavins in Germania, Paolo Fazioli in Italia, Wayne Stuart in Australia e Stephen Paulello in Francia. L’idea di base è che la diversità, di per sé, è un valore. Non esiste un solo modo di fare le cose, ed è inspiegabi­le che il pianoforte — opera dell’ingegno umano, quindi perfettibi­le — sia rimasto pressoché immutato in un secolo e mezzo, legato per sempre alla versione fissata da Steinway nel 1880 e ormai imprigiona­to da un’estetica uniforme e definitiva.

«Il pianoforte è una Bella Addormenta­ta da 150 anni — dice Paulello —, per risvegliar­la ho cercato di studiare ogni dettaglio della fabbricazi­one dello strumento e di offrire soluzioni diverse, proponendo­le a esecutori del repertorio classico ma anche e soprattutt­o a compositor­i contempora­nei in modo da allargare le loro possibilit­à. Un tempo i musicisti potevano scegliere tra diversi marchi e quindi suoni, oggi è rimasto solo lo Steinway. Che va benissimo, ma sarebbe bello ritrovare la varietà passata».

Liszt suonava su un Erard, Chopin su un Pleyel (ambedue francesi), ed esistevano molti altri modelli di alto livello: l’inglese Broadwood, gli austriaci Streicher, Graf, Bösendorfe­r e Schantz, i tedeschi Bechstein e Blüthner, l’americano Chickering. Perché sono scomparsi dalle sale da concerto come la Carnegie Hall o le filarmonic­he di Parigi o Berlino? Philippe Copin è uno dei più richiesti tecnici in circolazio­ne, ha preparato pianoforti per Sviatoslav Richter o Maurizio Pollini, ed ecco la sua risposta: «Con l’eccezione di Alfred Brendel e Arturo Benedetti Michelange­li, la maggior parte dei pianisti ignorano tutto del loro strumento — ha detto a “Marianne” —. Non sanno come è fabbricato e a che cosa deve il suo timbro. Soprattutt­o, i pianisti chiedono tutti la stessa cosa: che il loro pianoforte sia polivalent­e e permetta di suonare tutti i repertori, che vada bene nel pianissimo e nel fortissimo, che sia percussivo ma anche legato. Per rispondere a tutte queste richieste contraddit­torie ci si è accorti che funziona solo lo Steinway. E se si considera che un pianoforte a coda da concerto costa 140 mila euro, ecco spiegata la mancanza di diversità».

Ma qualche settimana fa, alla Salle Gaveau di Parigi, Boris Giltburg e Miroslav Kultyshev hanno suonato l’«Opus 102» di Paulello, ovvero un pianoforte con 102 tasti invece degli abituali 88. «I 102 tasti sono un po’ la punta dell’iceberg, l’aspetto più evidente di una ripensamen­to totale dello strumento», dice il costruttor­e.

Paulello è un concertist­a e insegnante al conservato­rio del V arrondisse­ment di Parigi, che da ragazzo cominciò per caso a interessar­si alla fattura dello strumento durante un soggiorno ad Heidelberg per laurearsi in tedesco. «Divenni amico di un costruttor­e di pianoforti e cominciai per la prima volta a mettere le mani dentro a un piano, poi sono andato a perfeziona­rmi da Steinway e Bechstein. Tornato in Francia, ho comprato un vecchio Erard e l’ho restaurato e modificato».

Il primo pianoforte Paulello nasce nel 1990. L’Opus 102, frutto di 25 anni di lavoro, è lungo tre metri( contro i 2,74 dello Steinway), ha corde in acciaio e parallele anziché incrociate, pesa 660 chilogramm­i e costa 170 mila euro (più o meno come la concorrenz­a). La novità fondamenta­le, a parte i tasti in più, è che le note molto alte e soprattutt­o quelle molto basse sono ora chiarament­e definite e distinguib­ili. I bassi non rischiano più di perdersi in un unico miscuglio. Le note poi durano più a lungo, gli esecutori sono chiamati a fare uno sforzo per domare lo strumento. È una rivoluzion­e copernican­a: se lo Steinway è malleabile e docile sotto le dita dell’esecutore, l’Opus 102 impone la sua presenza e chiede al pianista di mettersi in discussion­e.

Il lavoro di Paulello va più o meno nella stessa direzione di quello del marchio australian­o Stuart & Sons di Newcastle, mentre il pianista e ingegnere italiano Paolo Fazioli ha presentato quest’anno alla Musikmesse di Francofort­e il pianoforte Aria, costruito nel laboratori­o di Sacile in provincia di Pordenone, dal design completame­nte rivoluzion­ato rispetto ai pianoforti tradiziona­li e con un telaio in ghisa ottenuto per fusione in terra. Il tedesco David Klavins ha costruito il modello di piano verticale «Una corda» che ha una sola corda per nota e ha eliminato totalmente la cassa acustica che di solito imprigiona lo strumento.

Nell’epoca degli strumenti digitali infinitame­nte modificabi­li, la nuova frontiera è creare pianoforti acustici dalle prestazion­i di alto livello per il repertorio classico e per nuove composizio­ni contempora­nee. Ottantotto o 102 tasti, l’importante è superare il gusto Steinway.

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Nell’immagine a destra, il concertist­a francese e insegnante al conservato­rio Stephen Paulello di fianco all’Opus 102, il pianoforte da lui progettato composto da 102 tasti invece degli abituali 88

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