Corriere della Sera - La Lettura
Le tensioni razziali macchiano il museo di Obama
Una storia, o meglio, tante storie «di trionfi e di incredibili tragedie»: è quello che racconterà, secondo le parole del suo progettista David Adjaye, il National museum of african american history and culture di Washington (nome in codice Nmaahc), in pratica la versione aggiornata, ampliata, riveduta e corretta (secondo lo spirito del primo presidente nero degli Stati Uniti, Barack Obama) del vecchio Smithsonian al 1000 di Constitution Ave, sempre a Washington.
Pronto per il 24 settembre, data ufficiale di inaugurazione, il museo fin dall’inizio era destinato a diventare un simbolo: con i suoi 37 mila oggetti (più testimonianze che manufatti artistici, in buona parte arrivati da donazioni private); con i suoi 540 milioni di dollari di costo; con la sua collocazione strategica e politicamente corretta sul Mall, vicino al monumento a George Washington e sulla prospettiva del Lincoln Memorial e di Arlington. Oltretutto, secondo i tecnici, il museo avrebbe dovuto chiudere in bellezza la presidenza di Obama (il 20 gennaio 2017 si insedierà il suo successore), ma anche il primo architetto nero vincitore annunciato del prossimo Pritzker, quello del 2016, appunto David Adjaye (1966, ghanese naturalizzato inglese).
A cambiare il destino del Nmaahc, macchiando idealmente quella sua facciata color bronzo, sono arrivati i recenti scontri razziali e i cinque poliziotti uccisi a Dallas, il movimento Black Lives Matter («le vite dei neri contano») e le ultime manifestazioni di Detroit, Denver, San Francisco, New York. Ma prima ancora, a mettere in forse l’idea di un’integrazione davvero compiuta tanto caro a Obama, c’erano stati i «giovani neri» uccisi a Ferguson e Indianapolis. Anche se si potrebbe dire che, in fondo, era scritto: visto che nella collezione del museo l’elemento artistico appare significativamente ridotto rispetto al complesso dell’intera raccolta (tra i nomi presenti Charles Alston, Eliza-