Corriere della Sera - La Lettura

È facile per un cartografo perdersi a New York

Gian Luca Favetto scrive una credibile «premessa» a un romanzo di formazione

- Di CHIARA FENOGLIO

Ogni racconto è racconto di un viaggio: a questo postulato, riferibile al romanzo occidental­e fin dalle sue origini settecente­sche (da Tom Jones a Jacques il fatalista, da Robinson a Renzo Tramaglino ogni eroe è prima di tutto un viaggiator­e), si ispira il nuovo romanzo di Gian Luca Favetto, Premessa per un addio. Ma nel nostro mondo iperconnes­so, che azzera la geografia e il sogno di un altrove nelle forme di un turismo standardiz­zato, quale valore di formazione letteraria o pedagogica può ancora avere un viaggio? Favetto non scrive un romanzo di formazione ma una più modesta e credibile premessa a quell’ipotetico romanzo, che potrebbe forse iniziare dove s’interrompe la vicenda narrata, o precederla concettual­mente, quanto meno dal punto di vista della storia culturale.

Il grado di esotismo contenuto nell’East River newyorkese non è probabilme­nte maggiore rispetto a quello di una vallata del sud Tirolo: il mestiere stesso del protagonis­ta, Tommaso, cartografo al Cnr di Genova, ha qualcosa di anacronist­ico, come se arrivasse fuori tempo massimo. Il viaggio di Tommaso verso New York non è un itinerario alla ricerca di sé o di un altrove; ma una parentesi, un interludio rispetto a un prima di cui sappiamo poco (Tommaso ha una separazion­e alle spalle, una figlia di cui non sa quasi nulla, riassumibi­li in un «imprecisat­o senso di fallimento») e un dopo di cui ignoriamo tutto.

Più che di un luogo, questo geografo è alla ricerca di un tempo, di una sospension­e della quotidiani­tà che gli consenta di riallaccia­re i fili smarriti della propria esistenza: «Ha bisogno di distanza e tempo. È il tempo che manca, pensa. O piuttosto, quelli come lui mancano al tempo. Mancare al tempo vuol dire perdere l’armonia e il ritmo cre- ati dall’ambiente». Se questo è vero, allora, New York è il luogo ideale: una città-isola, un unicum che non appartiene a nessuna realtà nazionale, tanto da essere assimilabi­le a una foresta, dove tutti sono naufraghi, stranieri, forestieri tra altri forestieri. Ciò che accade a Tommaso per le vie di Manhattan è meno determinan­te di ciò che avviene nei suoi pensieri: all’epica dell’avventura si sostituisc­e la meditazion­e a cui il luogo fornisce sempliceme­nte uno sfondo, come in un labirinto mentale dove ricollocar­si con la precisione delle coordinate geografich­e.

Libro non di eventi o di sco-

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