Corriere della Sera - La Lettura
I figli dei fiori oscurano Marx
Di questi tempi, Spagna a parte, la sinistra radicale non attira molta attenzione. Ma nell’Europa degli ultimi anni un ruolo non marginale l’ha esercitato, come conferma il libro di Marco Damiani La sinistra radicale in Europa (Donzelli, pp. 256, 19,50), un felice incontro tra narrazione storica e scienza della politica. Nel raccontare la vicenda di quella che chiama «new left», Damiani ne segnala gli elementi di rottura con la precedente estrema sinistra e con quella di matrice comunista. Il crollo del Muro è stato decisivo anche per questa famiglia politica, passata dalla ideologia all’enfasi sui valori. Se non ha abbandonato il marxismo, lo ha diluito con il liberalismo radicale dei diritti di cittadinanza, con l’ecologismo, con il differenzialismo multiculturalista e il pacifismo assoluto. Una vittoria postuma, si potrebbe dire, della sinistra movimentista anglosassone degli anni Sessanta e Settanta, la cui cultura è penetrata laddove imperava il marxismo-leninismo, come nel Partito comunista francese, in quello spagnolo e nella Pds tedesca. Dal punto di vista elettorale, tuttavia, il massimo successo la sinistra radicale l’ha raggiunto quando ha introdotto nella sua miscela un elemento esplosivo: il populismo, sdoganato a sinistra da Ernesto Laclau in un testo fondamentale del 2005. Populisti infatti possono essere definiti in Spagna Podemos e il suo alleato comunista, in Francia il Front de gauche di Mélenchon (secondo alcuni sondaggi in grado di superare Hollande alle prossime presidenziali), in Grecia Syriza e nel Regno Unito il Labour di Corbyn. Solo in Italia, per tutto il Novecento culla della sinistra estrema, quella radicale non sfonda e, dopo l’iniziale successo di Rifondazione comunista, da un decennio sembra aver perso appeal. A meno che non vi si inserisca il Movimento 5 Stelle. Damiani non ne parla, ma è certo che la creatura di Grillo ha occupato in Italia quasi tutto lo spazio elettorale della «new left».