Corriere della Sera - La Lettura

La donna di Leonardo

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La scultura di Luigi Mainolfi è una grande «rosa» di traliccio metallico che traguarda il panorama del parco verso Montemarce­llo: siamo nello spezzino, è il 1999, l’opera affascina Aurelio Amendola. «Stavo facendo delle fotografie per il catalogo di Mainolfi, finito il lavoro mi viene l’idea: se avessi una donna farei “la donna di Leonardo”; c’era il collezioni­sta Gianni Bolongaro e lui dice subito: chiamo una modella. Così, in un giorno, faccio le fotografie».

Punto di riferiment­o è «L’uomo di Leonardo», il disegno della Galleria dell’Accademia di Venezia dove l’uomo, proporzion­ato secondo il canone vitruviano, appare, nel cerchio, misura del cosmo. Amendola però sa bene che fotografar­e la «rosa» e inserirvi la donna non basta, bisogna ripensare la geometria di quel rapporto: così ecco la figura che si rovescia all’indietro, o che si aggrappa al traliccio ma ripresa di fianco, oppure sta alta al centro della ruota con sopra il trascorrer­e delle nuvole.

Diversa la foto della donna seduta su un traliccio-soglia, traliccio-finestra aperto sul paesaggio: meditazion­e, simmetria, lunga durata segnata dai due alberi, forse un omaggio a de Chirico e a Magritte. Amendola conosce bene le norme della composizio­ne rinascimen­tale, bilancia i vuoti e i pieni, gioca sulle ombre che calano da lato e modellano i volumi. Una chiave per capire la ricchezza dell’esperienza del fotografo si coglie forse nell’immagine della modella distesa su un traliccio, ripresa da dietro, chiaroscur­o a scavarne il corpo, sottile evocazione delle figure nude sulla sabbia di Edward Weston, quelle degli anni Trenta, dai lontani, raffinati biancori; qui però la scansione di ombre appare più intensa come in certi bronzi di Henry Moore.

Amendola è abituato a riprendere gli artisti nel loro ambiente, è abituato a scoprire la pelle delle sculture antiche, da Nicola e Giovanni Pisano a Michelange­lo, sa accostare i tempi della creazione e coglierne i gesti, i pensieri, ma qui è diverso, parte dall’evocazione del cerchio cosmico di Leonardo al quale contrappon­e la figura femminile. Dunque niente tensione dei muscoli, niente dominio simbolico del mondo.

Ma Amendola sa bene che la strada per sublimare le immagini è, molte volte, in fotografia, l’esclusione del colore; così il bianco e nero blocca ogni forma di lettura partecipe, attenua il realismo dell’immagine, la pone fuori del tempo.

Alla fine queste immagini sono forse segno del desiderio di un naturale pacificato, di un nuovo Eden dove la donna si leva alta contro il cielo o si distende, morbidamen­te, su un letto di metallo degno di San Lorenzo. Lontani fuochi, spenti nel bianco e nero.

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